La prima cosa che faccio una volta atterrato è rotolarmi in un posacenere e baciare la mia sedia preferita [si capisce, senza malizia], poi mi guardo tutta la serie completa di Beautiful. Poi cerco di dare una scopo a questa storia. E scopro una cosa terribile: quel vago triste senso di amarezza che mi attanaglia, le giornate di grandine [di quella veloce, a chicchi taglienti] ad aspettare con gli occhi al cielo, infilare la testa nel forno, le giornate passate a mangiare bacche a caso nei boschi, le mie ispezioni rettali con ferri rugginosi: è il sintomo del collasso creativo!
Da mesi parole e pensieri hanno perso spessore, lasciano a righe vuote il compito di riempirsi da sole. È successo prima del viaggio nello spazio, forse ancora prima dell’invasione delle orripilanti creature, quando la mia infeconda forma ha visto per la prima volta la. Sono stato chiuso in casa per anni, mi rifiutavo di condividere quella bellezza che sapevo essere solo mia con il pianeta che in fondo girava comunque senza conoscermi. In quegli anni ho completato innumerevoli settimane enigmistiche e mangiato milioni di pistacchi, ma nonostante questo ero infelice. Lo capii guardando i gusci dei pistacchi: nonostante l’opera mastodontica ero incompleto. Decisi quindi di frequentare la scuola pubblica. Quando conobbi Adelaide e poi con il viaggio nello spazio e il resto credevo che questa maledetta angoscia se ne fosse andata, invece adesso, sulla Terra, di nuovo solo, una malinconica malinconia torna ad emergere. Ma non ci sono più scuole per illudermi, o navette spaziali che possano farmi fuggire da me stesso, nessun mio simile ad aspettarmi, persino Dio è altrove, svenuto in un bar. E il tetris si è rotto. Poi, ecco l’idea: l’Eroina! È il momento di dire basta alle droghe da quattro soldi comprato al supermercato. Fortunatamente mio padre mi ha lasciato un discreto conto da Barclay's, il frutto dei suoi anni di duro lavoro come minatore nelle cave di dentrificio; penso sia giusto sperperarlo in droga e pistacchi.
Vado da uno dei miei vecchi compagni di scuola, non so come si è salvato dalla mostruosa invasione, ma adesso è l’unico spacciatore rimasto in vita sul globo, e si gode la vita all’ultimo piano di un palazzo in periferia. Dalle finestre di casa sua esce qualcosa di viscoso, non ci faccio caso ed entro nel palazzo, salgo con l’ascensore rotto [arrampicandomi lungo i cavi d’acciaio] e gli suono alla porta. Dopo tre ore mi risponde una voce metallica dicendomi di entrare e aspettare per ulteriori informazioni. Entro in una stanza piuttosto piccola, a tenuta stagna. Attaccata alla parete ci sono delle mute da sub, bombole e boccagli.
- Indossa ciò che vedi alla parete e introduciti in questa sfera trasposizionale; se sei cieco ci sono delle tute in brail, se sei sordo astari du prambati, tanto non capisci! -
A quel punto esce dalla parete di fronte la metà di una sfera vuota con un portello nel mezzo. Indosso velocemente la tuta, apro il portello e mi infilo dentro, chiudo e aspetto. BIP! La sfera ruota su stessa. Apro di nuovo il portello e dal buco comicia ad entrare copiosamente un denso liquido verde-giallastro, così indosso il boccaglio e mi immergo. Sto nuotando nel vomito. Ci sono cose equivoche sospese nel denso liquame che sembravano indirizzarmi verso il centro dell’appartamento-piscina. Distinguo altre forme nuotare grazie alla visione a infravomito di cui è dotata la maschera. Una di loro si stacca dal gruppo e mi viene incontro.
- Hey, ma guarda chi si vede; è dall’invasione che non ci vediamo! Come te la passi? Mi fa piacere che sei venuto a trovarmi nella mia reggia –
Lo riconosco anche se la droga lo ha trasfigurato e il microfono ha distorto la voce, è il mio compagno. Gli dico che va tutto bene, che sono lì per affari e chiedo spiegazioni per l’ambiente circostante.
- È una scoperta di un trio di scienziati del Burkina Faso. Hanno capito che stando immersi con una muta da sub nel vomito è possibile prevenire le rughe sui gomiti. Noi qua stavamo tutto il giorno a vomitare e non sapevamo mai che farci con tutta questa roba; è stata proprio una bella fortuna questa! Ma sei qui per fare acquisti, no? Tieni, prova! –
Mi passa una siringa, io la prendo e la inserisco nell’apposito buchino nella tuta. In pochi secondi sono tossicodipendente.
Sono passati tredici mesi da quando sono entrato la prima volta nella routine della droga. Fra venti minuti avrò terminato il patrimonio paterno, ma per l’emozione dell’avvenimento sperpero tutto in tre minuti ed entro quasi subito in crisi d’astinenza. Il mio compagno è morto da un paio di mesi, l’abbiamo trovato che galleggiava immobile sul soffitto; gli abbiamo tolto la tuta, l’abbiamo pulita e appesa fuori per i nuovi ospiti. Per quello che posso ricordare lui dovrebbe ancora essere qui da qualche parte in putrefazione. Ok, torniamo alla crisi. Lo scopo dei tossici come degli zingari è quello di succhiare quanta più energia possono alle persone fuori dal loro intorno sociale per alimentarsi, ma in caso di carestia non si risparmiano di giocare brutti tiri anche ai loro migliori amici. Ma io non ho amici, nessuna delle persone che è qui può aiutarmi, soffro, necessito di una dose immediata per tenere lontani i pensieri che già si incolonnano ingorgandosi liberando e alzando il volume dell’insofferenza che mi spinge a muovere le braccia convulsamente nuotando verso nessuna direzione. Toh, l’uscita. Non ricordavo ce ne fosse una. Apro il portello e m’infilo. Si apre un buco che fa scolare via il vomito, poi getti d’acqua sotto pressione sulla muta putrida. Vengo vomitato fuori, nella sala d’aspetto, non sono stato disintossicato, solo allontanato. Mi alzo, con enorme sforzo tolgo la tuta che credevo oramai essersi fusa sulla mia pelle e MAGIA!!! Non ho le rughe sui gomiti! La cura funziona davvero. Beh, chi se ne frega in fondo? Esco e guardo le scale che scendono: non posso più tornare a far parte delle strade, posso solo salire.
Sono sul tetto e guardo in basso: ci sono delle persone, poche, alcuni giovani, altri vecchi, spiritati, morti, sorridenti, sotterranei, e un castoro; mi osserva e annuisce, poi si mette a correre lungo l’autostrada vuota. C’è una beata quiete, merito mio che ho sconfitto le forze del Male. In fondo essere uno spermatozoo infecondato nato da padre morto suicida ha un suo senso che sembra prendere forma oltre il cornicione. C’è la fresca brezza di una primavera post-catastrofica. Metto il mio unico piede sul bordo di cemento. Aspetto. Osservo. Sorrido.
Le braccia sono già cresciute. Forse è arrivato il momento delle Ali.
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