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giovedì 22 settembre 2011

la danza

prossimità

equilibrio

meccanica

divergenza

simbiosi


stampate fanno schifo

mercoledì 14 settembre 2011

mercoledì 5 gennaio 2011

l'AMORE è un MOSTRO

Avete letto Melissa P. o “non ti muovere” della Mazzantini e adesso odiate le donne e pensate che siano inutili, ma volete curarvi? Questo romanzo è la soluzione, e ve lo spiegherò svelando il suo più grande colpo di scena, ovvero che Carol Topolski, lo scrittore, è in realtà una scrittrice con un nome in una lingua che non conosco, e ha scritto un libro. Bello davvero.

Ok, effettivamente non ci sono grosse sorprese, sarà perché il libro tratta di un infanticidio commesso dai genitori della vittima, pratica abbastanza diffusa globalmente su cui è già stato versato tanto [troppo] inchiostro, ma questo libro è davvero ganzo. Parla d’amore? No, cioè, parla anche di persone innamorate e di varie forme d’amore [uomo-donna, uomo-uomo, uomo-bambino, donna-piante…], ma parla soprattutto delle persone, anzi, ATTRAVERSO le persone, ed è questa la figata. Buona parte del libro ci permette di scoprire i retroscena dell’infanticidio immersi in una stasi temporale dove prendono parola i personaggi che in qualche modo ruotano intorno all’evento: parlano familiari alienati, vicini impiccioni, poliziotti sensibili, i colpevoli, gli amici, i magistrati e ognuno, raccontando la propria implicazione, svela se stesso con una profondità e una precisione incredibili [toh, guarda caso l’autrice è una psicoterapeuta]. Nell’ultima parte compare la “quarta” dimensione narrativa e la vicenda va avanti con i genitori killer processati e imprigionati, ma la situazione si surrealizza e sfugge leggermente dalle mani della scrittrice, tanto che il finale traballa un po’. Perdonata comunque. Si esce dalla lettura con delle consapevolezze in più su quello che si muove negli esseri umani e in noi, siamo stati costretti a farci delle domande e a formulare dei giudizi che si rivelano inevitabilmente parziali, siamo meno sicuri e più sensibili. E questo grazie a una donna.

Un libro per chi legge i giornali e pensa di saperla lunga, un libro per chi pensa di essere buono, un libro per chi è innamorato o non lo è mai stato.



lunedì 27 dicembre 2010

martedì 7 ottobre 2008

180 SECONDI DI EIACULAZIONE

tratto da ‘la Gazzetta del Vuoto’
direct streaming da Copenhagen
20 Dicembre 2012

23:57 – mancano tre minuti a mezzanotte quando il cervello di Grazia Mansi, 8 anni, smette di poter pensare e si disperde sulla folla accalcata. Ad ucciderla è il colpo di una Walther P99 sparato a distanza ravvicinata, un proiettile che si infiltra ad alta velocità nel cranio passando dalla fronte, frammentando le ossa e trapassando il cervello. Fino a un attimo prima la bambina stava in braccio al padre e sorrideva a Charlie T.Brand, il suo assassino. Charlie pensa che il mondo sia un illusione e essendo la fine imminente sia giusto fare un esperimento sociale: come reagisce la gente condannata ad una morte solo di poco prematura. Ha deciso di essere metodico, colpendo casualmente ma cercando di eliminare soggetti diversi tra loro per apparenze e reazioni. In questo momento sta ascoltando ‘Split in Half’ dei Disparaged, in onda su DeathFM. Il padre di Grazia sta urlando, ma a quanto pare per Charlie non merita una fine analoga a quella della figlia, preferisce aspettare e osservare le conseguenze del gesto e le soluzioni repentine che saranno prese; l’uomo smette di urlare e si immobilizza, allucinato, mentre il resto della piazza emette un gemito di paura. Charlie si guarda attorno mentre la folla tenta inutilmente di disperdersi ad appena dieci secondi di tempo trascorsi dallo sparo; contrariamente alle aspettative il panico dilaga in fretta, ed essendo le persone molto strette tra loro qualcuno e costretto a sottostare ai passi di coloro che, trovandosi troppo vicini a Charlie, sono statisticamente più a rischio e cercano quindi di fuggire con maggior foga. Ma il nostro ragazzo ha un asso nella manica, una carta a frammentazione M67 da giocare il più lontano possibile; vola in alto e poi scende, silenziosa come una stella cadente spenta, va a colpire la spalla di Luca Gomeraso, a una ventina di metri di distanza. Il primo secondo si pensa a un ciottolo, poi l’espressione terrorizzata della quarantenne Marialuna LoVerso fa capire alle persone vicine il pericolo che incombe. È tardi: tredici vittime, cinque morti, tra cui le due ultime persone citate, e otto feriti, di cui 3 molto gravi e uno soltanto leggermente graffiato. Ma la cronaca in diretta non si occupa di chi soffre parzialmente, a noi piace il sangue abbondante, respirarne l’odore fin quassù, nel cielo, nel nostro elicottero offerto in dotazione dall’esercito nazionale dell’impero alla FOX, “solo cronaca scelta ed eventualmente provocata”. Ma torniamo ad occuparci di Charlie, questo ragazzo semplice e sensibile a cui, in un giorno dei suoi 19 anni, venne ucciso per sbaglio il cane; è questo evento che, nella biografia ufficiale pubblicata da Mondadori, appare determinante per lo sviluppo di una complessa e complessata personalità. Passano in secondo piano la lebbra che colpì la madre quando lui aveva solo sette anni, o le costanti delusioni amorose dell’adolescenza, quando era leggermente sovrappeso e le ragazze lo chiamavano Charlie Big Potato. Sua sorella venne divorata durante la lunga carestia dell’Inverno 2011, in cui persero la vita appena un migliaio di persone, buone per fare le conserve e uno special televisivo da mandare in onda il fine settimana, ma poco più. Charlie nasce nel 1984 e vent’anni dopo, causa cane, desidera morire, prova a suicidarsi ma non riesce, non è mai stato un tipo coraggioso. Finita la scuola superiore non ha voglia di continuare a dedicarsi allo studio e inizia a viaggiare con i soldi che ha risparmiato: per cinque anni ha chiesto denaro al padre alcolizzato per uscire a mangiare il sabato sera, ma non avendo amici li ha messi da parte, passando le serate a fingersi morto seduto su un ponte. Charlie viaggia per scappare da se stesso, vede buona parte dell’Europa e qualche frammento d’Asia, ma non trova mai una patria che lo accolga, i sorrisi degli altri gli sono preclusi da quel velo di malinconia che accompagna il nostro eroe deluso dal mondo. Non realizza molto, trova lavori umili in cui si accontenta di essere sottopagato pur di non dover alzare la voce; a lui non piace urlare, gli ricorda inconsciamente la madre che si osservava putrefarsi allo specchio, quando lui era ancora piccolo. Ecco perché adesso appare infastidito, le persone che gli stanno intorno sembrano impazzite mentre lo osservano puntare la pistola alla tempia di Evelin Tessy, giovane senegalese con regolare permesso di soggiorno. Il killer fa dei gesti osceni, perde tempo mentre i secondi passano inesorabili per tutti noi.

23:58 – tre secondi di un nuovo minuto sono tutti quelli che la ragazza riesce a vivere, ma muore fiera, guardando il suo assassino, sputandogli sulla mano e la pistola che sta per portarla via, sussurrando una preghiera a Dei sconosciuti mentre una lacrima le riga il viso al pensiero che il suo piccolo bambino è stato costretto ad osservare questo scempio; e anche lui, in un inversione di ruoli rispetto alla piccola Grazia e suo padre, rimane vivo per poter continuare a soffrire, raccontare la sua storia e, se vorrà, vendicarsi nei prossimi due minuti, o poco meno. Charlie nel frattempo è partito a corsa, si sta dirigendo verso un gruppo di anziani signori, un gruppo di uomini altolocati che devono essere professori, avvocati, dottori, una casta scocciata di doversi mescolare alla massa in questi eventi mondani. Lo osservano sopraggiungere veloce e furioso mentre sfodera un coltello CRKT ‘H.U.G’, compatto ma devastante se piantato nel collo di uno di questi intellettuali perduti. Il malcapitato è Luigi Pesimena, filosofo nichilista e teorico dell’Avvento, il giorno che festeggeremo entro breve; l’uomo sorride al killer, invocando una morte paziente che gli lasci assaporare il brivido di adrenalina destato dopo anni di appiattimento, e saluta con un rigurgito di bile e sangue i colleghi sfigati, inorriditi da questa dimostrazione di sdegno materiale. Anche Charlie sorride, ha sempre desiderato sfoltire la giugulare di uno di questi cervelloni, diradare la presenza di queste creature dedite solo alla propria scatola cranica, che però il maniaco omicida rispetta e lascia intatta, non gli piace sciupare le cose a cui, nonostante tutto, riconosce un valore. Lui non è mai stato particolarmente intelligente. A scuola i bambini si dividono in ‘può fare molto ma non si applica’ e ‘vedo che si impegna molto, eppure…’ e Charlie faceva parte della seconda categoria. Non ha talenti naturali, e sembra destinato a un esistenza piatta, quando due anni fa, in questo periodo, succede qualcosa: si innamora. Non parliamo di un rapporto platonico a base poetica, ma vera carne su carne, corrispondenza di sentimenti e tutte le altre illusioni che il compagno imperatore Vlarge Busin combatte con successo da anni. Ma Charlie e Angela, questo è il nome di lei, sono felici, e a lei, bellissima, non sembra importare la repellenza che il consorte solitamente ispira nelle persone, anzi, crea intorno al ragazzo un alone di esclusività che rende lei un eletta benefattrice focosamente ricambiata. Ma, come tutte le cose belle, dura poco, e lei si invaghisce di un carismatico leader religioso in tour con la sua parrocchia di chierichetti potenziati; scappa con l’uomo lasciando a Charlie una bottiglietta di profumo, un Guerlain ‘Insolence’ che lui manda giù tutto d’un fiato e poi vomita provando solo schifo, per se stesso più che per l’amante perduta, sa che non può inquisire altri per la costanza dei suoi fallimenti. Da quel giorno Charlie diventa ancora più cupo, si isola da un mondo che non l’ha mai accolto, smette di tentare di sentirsi parte della condizione di diffuso benessere che la popolazione ha raggiunto, sempre secondo le inequivocabili statistiche di sua sovraordinata democraticità Vlarge Busin. Ad ogni modo i due ciccioni che adesso Charlie ha legato assieme non sembra che nella vita se la siano cavata male: lei, Jenny Waine, è cosparsa di gioielli che ne sovrastimano l’opulenza; lui, Manuele Uripe, indossa un completo Dries Van Noten fatto su misura che gli lascia scoperte le caviglie, ma a quanto pare si porta così, e poi voi plebei non avete facoltà di giudicare l’estetica dei ricchi. Charlie li ha legati con una fune che non dev’essergli costata molto ma in compenso lacera bene sia i vestiti che la carne dei due coniugi urlanti che vengono stretti assieme in una morsa soffocante, i loro colli grassi circondati da questa collana grezza che si stringe ad ogni movimento inconsulto dei due, che nella poca furbizia si dimenano forte, tentano di divincolarsi con violenza, poi sempre meno, sempre più piano, finché non cambiano colore. Charlie odia la gente grassa, odia se stesso nonostante non sia più sovrappeso, odia l’amore, soprattutto perché tra esseri abbietti sembra possibile, mentre a lui è precluso. Non sa che entrambi gli aristocratici cotechini finanziavano la tratta degli schiavi brasiliani, concedendosi spesso un 10% dei loro investimenti, giusto perché esiste una bellezza oggettiva che ti affonda nella carne, a volte, a volte no, a volte non più. In questo momento nelle orecchie di Charlie c’è ‘Behind the Light’ degli Zuul FX, in onda su DarkCloud Radio. Forse attraverso un’interferenza riceve anche noi, perché guarda in alto, verso l’elicottero, e sembra che le nostre parole aumentino la sua brama di sangue; ma noi siamo protetti, e non ci risparmiamo di provocare ulteriormente l’ira del buon Charlie, vittima e carnefice al tempo stesso.

23:59 – Charlie si concede qualche secondo per urlare tutto il suo sdegno verso la madre terra, prostituta spaziale, aborto di un moto d’espansione universale, condannata a generare vita che brama morte, a vedere i figli coalizzati in un matricidio consapevole. Lui non vuole uccidere lei, che è già maledetta, il cui destino è stato scritto centinaia di anni fa e confermato nel 2008, anzi, vuole aiutarla e portarsi via un po’ di quei figli indegni che la calpestano senza rispetto; ma al tempo stesso la odia profondamente per aver dato il via alle sue pene, come a quelle di miliardi di creature brulicanti che oggi più di sempre si affollano qua, in piazza Radhuspladsen, per assistere all’Avvento e per farsi sterminare senza pietà da Charlie, che proprio adesso ha gettato a terra Federica Altravanti, una studentessa apparentemente anarchica. Gli punta la pistola addosso, ma non spara, preferisce prenderla a calci nel costato e in bocca, mentre la giovane confusa continua a urlare frasi sconnesse tipo “sesso libero”, “per Bakunin! Fermati” e “niente manicomi criminali”; se lei ne è convinta tanto meglio. Per Charlie questa è una rivincita nei confronti di tutti i grandi e piccoli nuclei sociali che nonostante propongano libertà e uguaglianza l’hanno sempre rifiutato, perché alcuni sono più uguali degli altri. Charlie indossa un comodo paio di anfibi ‘patrol’ della Tracpac con il tacco rinforzato che, a forza di calci, finiscono per condensare i lineamenti della ragazza un tempo schierata adesso solo morta; Charlie controlla il grande orologio che è stato montato per l’evento, scuote violentemente la testa tenendosela con una mano, con l’altra si appende a un medico di mezza età e gli vomita addosso senza troppo riguardo. Il medico non sa che fare, tenta di tirare fuori un taccuino per prescrivergli un’aspirina, oggi illegale ma un tempo panacea diffusa apparentemente senza controindicazioni; dopo sette milioni di bambini mutanti poi qualcuno è normale che inizi a farsi delle domande. Charlie pensa che l’uomo voglia difendersi e lo stende con una coltellata nel ginocchio e poi in pieno petto, lasciando l’arma conficcata, tanto non c’è più tempo per questi utensili specializzati. È arrivata l’ora di rivelare il contenuto del sacco speciale, il borsone da palestra che Charlie ha portato con se e adesso giace in attesa di essere aperto per svelare il contenuto. Ecco che si avvicina, tira la zip ed estrae; davanti ai vostri occhi l’eccezionale Benelli ‘M4 Super 90’, semiautomatico calibro 12, campione di affidabilità e precisione, un’arma pronta ad ogni evenienza che si adatta perfettamente alle situazioni più diverse, dall’assalto alla difesa personale, fino all’omicidio di massa. I primi sei proiettili esplosi in altrettanti esseri non più senzienti non mancano di destare un certo stupore per l’efficienza dell’arma, tanto da sollevare un leggero applauso di incoraggiamento. Charlie ricarica veloce, e sa che l’ultimo colpo spetterebbe a lui, ma ormai il tempo ha smesso di avere significato, la sua vita non ne ha mai avuto e tanto moriremo tutti, quindi attendiamo con ansia il finale di questa vicenda. Infatti c’è un colpo di scena: il nostro ragazzo urla feroce il nome della ex fidanzata, intravista tra la folla abbracciata al guru che osserva impassibile lo scorrere degli eventi; lei invece è terrorizzata, si sente in parte complice, ma Charlie sa bene che non ha responsabilità, e continua a saperlo anche quando fa esplodere il collo del santone, che non fiata nonostante le nuove prese per l’aria. Charlie stava ascoltando i 24 Give, ‘I’ll Be Good’, ma si è tolto gli auricolari e va verso Angela. Mandiamo in questi ultimi secondi il nostro microfono ultraleggero a propulsione, per sentire quello che i due antichi amanti hanno da dirsi. Inizia lei a parlare:
- Come stai?
- Una meraviglia, ti ho fatto un regalo, hai visto?
- Non dire cazzate, l’hai fatto per te, lo vedi che hai i pantaloni bagnati?
- Ops… cavoli, li avevo comprati da poco, sono Alexander McQueen originali. Vuoi dire che non ti piace?
- Charlie, hai dei pezzi della laringe del mio ex fidanzato sulla spalla. Non è carino, te ne rendi conto da solo, vero?
- Dici bene, da solo.
- Oh Charlie, lo sai bene che la solitudine l’hai costruita nel tuo cervello. I media hanno voluto ricamare sopra al tuo personaggio e adesso ti fanno sembrare un escluso sociale, un reietto alienato con delle tare mentali, ma a te non è mancato niente, quello che sei l’hai scelto. Certo, se poi fai comunicati stampa il giorno prima di diventare uno psicopatico invasato è normale che dai tempo alla gente di prepararsi una storia commovente.
- Ma il mio cane…
- Si, so che gli volevi bene, ma non ti giustifica affatto. Mi dispiace Charlie, puoi illudere chi ti pare, non me: non sei una vittima del sistema, e non sei manco un sociopatico. Sei uguale a tutti noi, casomai con un tocco di fantasia in più e qualcosa in meno da un'altra parte [sorride NdA]… ma insomma, vedo che perlomeno ti sei divertito in questi ultimi tre minuti.
- È stato fantastico, non posso negarlo, ma avrei preferito che andasse in modo diverso. Sai, il tempo e tutte queste cose che si pensa funzionino meglio degli psicofarmaci, mi sa che è tutta una balla filomeopatica.
- Non stare ad affliggerti, ormai è andata. Hai un ultimo desiderio?
- Non c’è tempo.
- Hai ragione, ma puoi sempre pensare che forse ti avrei esaudito.

00:00 – È finita. Non stiamo trasmettendo da nessun luogo. L’Avvento è avvenuto come previsto dalle profezie, e se ancora state leggendo pensate che tutto questo è sempre stata un’illusione, ed è giusto che sappiate come si è concluso l’ultimo omicidio di massa dell’umanità poco prima dell’Apocalisse, che a dire il vero è stata piuttosto repentina, come un dilatato senso di compressione in uno spazio bianco limitato da confini intangibili. Beh, Charlie non ha voluto pensare a niente mentre una lacrima gli rigava la guancia, si è messo il fucile in bocca e ha premuto il grilletto nell’istante in cui la mano di Angela si alzava, e nella loro ultima posa il proiettile non raggiungerà mai la testa dell’assassino, così come la mano di Angela non riuscirà a impedire che questo accada. Ma forse voleva solo togliergli di dosso quei pezzetti di carne, così antiestetici, in modo da renderlo presentabile al cospetto della Fine.

mercoledì 21 marzo 2007

1 . PERCHÉ È STUPIDO NASCONDERSI IN UNA MACELLERIA SE IL MONDO È INVASO DAI MOSTRI


Nella stanza in cui stiamo alloggiando c'è una sola finestra con i vetri rotti con vista sulla campagna circostante; pezzi di carne variegati in putrefazione [mio cibo] giacciono sparsi a terra o appesi alle pareti; ci sono un paio di trogoli pieni di mosche in villeggiatura e alcune gabbie aperte qua e là, adatte per contenere trecentoventi telecomandi o un mostro grasso; nei muri crepati ci sono iscrizioni inneggianti alle sostanze psicotrope più comuni e incitamenti agli atti di interazione uomo-donna; nelle O di “pompino” hanno fatto la tana dei roditori alquanto irascibili, che mi hanno più volte preso in prestito, senza chiedere, considerevoli porzioni di corpo. Sono passati quindici giorni. Posso assicurarvi che mangiare carne cruda e bere l’acqua piovana raccolta nelle crepe del pavimento non è il massimo. C’è qualcosa di peggio però; anzi più di qualcosa. Due settimane senza masturbazione. Ci ho provato, sapete, nel confortevole buio, quando i rumori delle motoseghe si affievoliscono e coltelli e mannaie smettono di sfregare sulle pareti di acciaio, quando sento di stare per esplodere. Ma niente. Ho paura che a tirarlo fuori venga mozzato via dal tranciapeni del classico bastardo che aspetta proprio questo momento per venir fuori dall’ombra [e qua decidiamo consapevolmente di non approfondire tutto il trafiletto sull'espletazione delle funzioni corporali più comuni]; e poi devo mantenere un contegno: non sono solo qui: lei è un motivo in più per aver voglia di rannicchiarsi in un angolo e scambiare un paio di opinioni personali con se stessi. Era la più bella del liceo; non che ora non lo sia più, ma una volta che il pianeta viene invaso da deformi esseri semisenzienti e siete in due ad essere sopravvissuti i concetti di bellezza e liceo perdono spessore. Lei sarà comunque la più bella. Lei ha i capelli. E fin qui, direte voi, bello ma niente di speciale; e qui vi sbagliate: lei li ha neri. Avete capito: non solo ha i capelli, ma li ha neri. Eccezionale! Ma non mi fermo: un set completo di sopracciglia, un paio di occhi, naso e bocca al posto giusto, collo seni braccia torso gambe e piedi. Lei ha tutto questo, e non lo fa pesare neanche troppo. Certo, non mi parla e non mi guarda e non respira neanche vicino a me; penso che sia timida, anche se il mio compagno di classe che giocava a calcio ed era il più bello non diceva così. Peggio per lui, non la conosceva; e tanto è stato segato in tanti pezzi diversi di forma e contenuto da un ometto con gli occhiali tondi.

Era una giornata di scuola, come le altre; io, Adelaide [la mia compagna di macello] e Rudolf [il calciatore] eravamo in classe con gli altri durante la lezione di “Protofusione delle Cellule Staminali per Ottenere Combustibile Commestibile”. Si, eravamo in classe insieme, ma lei non l’ha mai saputo. Ero così innamorato [sempre di lei, non di Rudolf; lui era antipatico e mi ustionava la cute facciale con la fiamma ossidrica della bidella] che stavo per lanciarle un bigliettino con la scritta “STUPIDA” [che stava per: “Sono Tanto Ultra-Perdutamente Innamorato Di Adelaide. Non so se avrebbe capito] che questo tizio, con gli occhiali tondi, magrolino, con la faccia grigia e la camicia sporca di sangue, irrompe in classe con una motosega a catena azionata e si avventa sulla prof. dimezzandola. Lì per lì non sapevamo cosa fare, così abbiamo applaudito. Lui non deve aver capito e vomitando bile ha detto qualcosa del tipo “Morrete Felloni” gettandosi su Rudolf e praticando i dettami del “Manuale di Chirurgia Improvvisata con Attrezzi Casuali non Disinfettati”. Dopo un po’ ci siamo accorti che quella che sembrava un incisione di routine al corpo calloso del mesencefalo era in realtà un vero e proprio sbudellamento. Allora c’è stato il panico: gente che urlava correndo e lanciando sedie, mani che salutavano i polsi a cui un tempo erano attaccate, lacrime di sangue, torrenti di succhi gastrici, fontane arteriche e il suono, che alcuni non avrebbero mai sentito, delle orecchie che cadono [bel suono, peccato non aver avuto il tempo di goderselo]. Non so cosa sia scattato in me, ma mi sono lanciato su Adelaide e le ho afferrato la mano. Lei mi ha lanciato molto forte il tomo di scienze e io ho lasciato la presa, tramortito; poi le ho detto di seguirmi. Lei si è guardata un po’ in giro. Oltre all’omino della motosega si erano aggiunti un signore ustionato con uno strano guanto, un ragazzo cicciotello con la maschera da hockey e un machete, un tipo verde palmato, due ragazzi vestiti militari con dei fucili, un affare alto due metri e passa, nero con la testa oblunga e la coda puntuta e altre simili amenità. Data la situazione e comunque molto riluttante ella ha optato per la soluzione da me suggerita. Siamo corsi assieme [io in testa e lei a debita distanza, per non sfigurare con i corpi morenti dei ragazzi carini] verso la campagna, mentre alle nostre spalle il liceo veniva demolito da uno squadrone di soldatini impazziti. Non ricordo per quanto abbiamo corso, circa trentasette minuti quarantuno secondi, quando questo ridente mattatoio dipinto di nero con la scritta “Siete carne fresca, coglioni!” incisa con una mannaia insanguinata sulla porta di ingresso ci si è parato davanti. Sembrava un posto a posto, e poi c’era un orda di creature disgustose che volevano cibarsi di noi qualche chilometro indietro, non era il caso di fare i pignoli. E così siamo giunti fin qui.

Alla fine il posto non è male. Certo, la zone è pattugliata continuamente e così non possiamo né uscire né fare un fuocherello per scaldare il cibo, e neanche muoverci o alzarci, ma non importa: lei ha i suoi integratori proteici [pacco maxi-formato per i casi di invasione mostruosa], io il mio rognone e trippa conditi al fegato crudo che non sono male; finchè non muoio di gotta sono a posto. E poi avevo sempre sognato di dormire dentro a mezzo maiale! Avrei voluto dirle qualcosa in questo tempo che abbiamo passato assieme, ma non ho avuto ancora modo di pensarci, e poi spesso mi incanto a guardarla, e potrei stare immobile per ore con gli occhi fissi su di lei se non mi lanciasse le ossa spezzate che trova in giro, che mi si conficcano negli occhi e bruciano. Vorrei prendere coraggio e confessarle le mie emozioni di spermatozoo infecondato nato da padre morto suicida, ma qualcosa nel suo comportamento mi dice che non è arrivato ancora il momento giusto. Io lo so che, a parte tre giorni, le ragazze hanno dodici mesi di seguito di cose loro, le mestruazioni, che le rendono capaci di sollevare i tir con le ascelle e uccidere le tigri siberiane con un tampax [che è tipo una bomba viscida]; aspetterò che finiscano, sperando non le siano venute da poco. Le piaghe da decubito iniziano a impedire il corretto articolarsi dei movimenti, e una voce sottile ma chiaramente percepibile nella testa mi sta convincendo a confessarle il mio amore e poi trucidarla barbaramente con uno stuzzicadenti che avevo preso a mensa. Ma io le [alla voce] ho detto che i fidanzati carini non fanno così, e visto che sono passati molti giorni in cui ci siamo visti noi due da soli possiamo considerarci oramai una coppia di fatto. Ma su una cosa la voce ha ragione: inizio a puzzare. Non so se sia una conseguenza naturale del mio corpo o una premonizione sull’imminente putrefazione, fatto sta che devo scollarmi dal suolo e trascinarmi con il mio unico arto mobile verso di lei e confessarle il mio Amore eterno per il tempo che rimane. Lo faccio per la vocina dentro di me, per il mezzo maiale che mi ospita, per i vermi nel mio colon, ma soprattutto perché finalmente ho la possibilità di raccattare! Muoversi è diventato arduo: inizio con l’alluce e poi continuo con le altre due dita che rimangono, estendo il tremito di vita verso il ginocmito e poi il basso ventre ed eccomi nella stessa posizione di due settimane fa, ma adesso pronto a muovermi. Striscio lento per non farmi sentire da lei che, resa folle dall’emozione nel vedermi vicino, potrebbe fuggire via facendosi squartare ferocemente dalle ombre veloci. Sul terreno strisciano le piccole creature che abitano gli anfratti e si cibano di ciò di cui io mi cibo, in attesa di cibarsi di me. L’odore di urina sangue acciaio e ruggine mi inebria e confonde, ma proseguo senza demordere: lei dista solo una decina di metri. Ha i ginocchi piegati, le braccia incrociate con la testa appoggiata sopra; starà dormendo. Con la mia forma di uomo-verme sto finalmente per raggiungere la meta ambita e confessare ciò che i feti incompleti come me non hanno neanche mai osato pensare: anche noi spermacefali possiamo amare ed avere successo con le ragazze normali, purché il Mondo venga conquistato da esseri alquanto più brutti di noi [o da noi]. Diverrò il simbolo di emancipazione per i miei simili, quattro in tutto l’Universo. E intanto sono arrivato.

Lei giace silenziosa nei suoi pensieri sognanti. Un mese fa non avrebbe mai potuto neanche concepire la fortuna di trovarsi da sola nel buio con un aborto affetto da lievi casi di schizofrenia sbudellatoria [sono io] in un Mondo governato da creature aberranti. Certo a volte, i casi della Vita!

- Ade, sono io - le dico, scrollandole le spalle leggermente.

Non mi risponde, ma da segno di essere cosciente lasciando scendere molto leggermente, con i suoi modi di dolce fata, un braccio lungo le gambe. “Non mi ha cacciato colpendomi con il fondo metallico del suo spray al peperoncino” penso, consapevole che il tempo trascorso è servito a maturare in lei la consapevolezza dell’interesse che sicuramente prova per me. Con la dolcezza tipica del feto interrotto le parlo:

- Ade, è ormai molto che ci conosciamo, o perlomeno è tanto che io ti spio di notte mentre dormi e quando ti lavi i denti e quando mangi le mutande alle caramelle di tua madre e quando lei ti colpisce con il ferro da stiro bollente sulla schiena… e in tanti altri momenti. Voglio dirti che nonostante il mio aspetto sono anche intelligente, e che la bellezza non deve spaventarti, perché anche tu sei molto bella e penso che siamo oramai abbastanza grandi per intraprendere una relazione durature finalizzata all’appagamento dell’istintualità che tipicamente contraddistingue l’adolescenza. So che al momento può sembrarti affrettato, ma vorrei un figlio da te, adesso, visto che non sei ancora contaminata dalla scarica feromonica della pillola o dalle varie malattie trasmettibili attraverso i rapporti non protetti. Non preoccuparti, una volta usciti di qui mi cercherò un lavoro come si deve e ti manderò a prostituirti solo due o tre volte ogni settimana. Allora... che ne dici? -

Ora, se c’è una cosa che non capisco è l’emotività femminile. Finita la frase la scrollo un pochino per ottenere una risposta, e la zoccoletta cosa fa? Cade a terra morta! Con due chiodi piantati a fondo negli occhi e una smorfia sdentata della sua bocca contenente i resti semidigeriti delle sue ovaie, per giunta! Che maleducazione… Fortunatamente dall’oscurità esce barcollando una creatura tozza e tumefatta, con un unico grande occhio livido sulla schiena, che inizia a masticarle le dita con una delle sue bocche principali. Questi nuovi spazzini sono eccezionali, ti ripuliscono anche le ossa pur di non lasciare nulla in giro. Poi capisco; sulle prime non l’avevo notato, così seccato dall’accaduto: quell’essere ha un martello con dei chiodi in tasca [pensatela come la tasca del canguro, il mostro non ha vestiti].

- Tu sei la vile entità che ha ghermito la povera Adelaide, facendole assaggiare il proteico contenuto delle proprie interiora! Maledetta [presupponendo che sia femmina]!!! – le urlo contro.

In tutta risposta la spazzina, interrompendo il pasto, si volta e mi osserva; poi rantola, si scuote e rigetta. Nonostante la maleducazione nell’interromperla durante il pranzo, la reazione di vomitarmi addosso un collame verdognolo mi sembra eccessiva. Per fortuna che porto sempre con me un kit di pronto soccorso della categoria “anti-collante verde e altre cose schifose rigurgitate dalle creature delle tenebre”. Mi libero velocemente, ma non abbastanza da impedire al mostro di essermi addosso con un triplo salto carpato [perché assomiglia a una carpa] con avvitatore acceso [trattasi di classico strumento punteroluto atto ad avvitare ma utilizzato più comunemente per rimuovere in modo disordinato le cervella]. Schivo sinuoso grazie al mio arto mobile i colpi barbari dell’assalitrice, che inciampa sulla prolunga [per fortuna non esistono le batterie per gli avvitatori mostruosi] e cade rovinosamente, posizionando la “faccia” sul mefitico attrezzo di morte che, per l’appunto, la uccide. Lieto dell’accaduto ma non completamente sollevato mi dirigo a passo sostenuto verso l’uscita; dietro di me qualcosa di sanguinante si rialza per tenere fede alla migliore tradizione horror. Nonostante le aspettative del pubblico pagante è Adelaide ad essersi alzata e ad inseguirmi facendo roteare una balestra che giaceva inutilizzata vicino a lei [altra fortuna il fatto che gli zombi non sappiano usare le armi, contrariamente a quello che pensa Romero in “Land of the Deads”].

- Ade, sei viva! Abbracciami! – e nel dire ciò le sparo una raffica di pallettoni di piombo sacro esplosivo perforante in pieno petto con il fucile semiautomatico adattabile a spermacefali monoartici fornito nel kit di benvenuto per defunti inquieti [“in caso di presunta sopravvivenza si consiglia di ripetere il trattamento per altre tre/quattro volte, aumentando costantemente il dosaggio, fino ad aver raggiunto la piena consapevolezza della rinnovata morte del soggetto. Per ulteriori informazioni consultare lo sciamano di turno più vicino”].

Non si rialzerà più.

Io invece vivrò, ho deciso. Mi farò largo nell’Abisso Oscuro con i miei kit pronto-intervento e il mio unico arto mobile, distribuendo alle Creature del Male sofferenza e ritenzione idrica, facendo sì che ci sia un negro o una bionda tettuta sacrificabile al mio posto tutte le volte che sarà necessario. E poi birra, parolacce ed esplosioni per tutti. AMEN!