mercoledì 21 marzo 2007

1 . PERCHÉ È STUPIDO NASCONDERSI IN UNA MACELLERIA SE IL MONDO È INVASO DAI MOSTRI


Nella stanza in cui stiamo alloggiando c'è una sola finestra con i vetri rotti con vista sulla campagna circostante; pezzi di carne variegati in putrefazione [mio cibo] giacciono sparsi a terra o appesi alle pareti; ci sono un paio di trogoli pieni di mosche in villeggiatura e alcune gabbie aperte qua e là, adatte per contenere trecentoventi telecomandi o un mostro grasso; nei muri crepati ci sono iscrizioni inneggianti alle sostanze psicotrope più comuni e incitamenti agli atti di interazione uomo-donna; nelle O di “pompino” hanno fatto la tana dei roditori alquanto irascibili, che mi hanno più volte preso in prestito, senza chiedere, considerevoli porzioni di corpo. Sono passati quindici giorni. Posso assicurarvi che mangiare carne cruda e bere l’acqua piovana raccolta nelle crepe del pavimento non è il massimo. C’è qualcosa di peggio però; anzi più di qualcosa. Due settimane senza masturbazione. Ci ho provato, sapete, nel confortevole buio, quando i rumori delle motoseghe si affievoliscono e coltelli e mannaie smettono di sfregare sulle pareti di acciaio, quando sento di stare per esplodere. Ma niente. Ho paura che a tirarlo fuori venga mozzato via dal tranciapeni del classico bastardo che aspetta proprio questo momento per venir fuori dall’ombra [e qua decidiamo consapevolmente di non approfondire tutto il trafiletto sull'espletazione delle funzioni corporali più comuni]; e poi devo mantenere un contegno: non sono solo qui: lei è un motivo in più per aver voglia di rannicchiarsi in un angolo e scambiare un paio di opinioni personali con se stessi. Era la più bella del liceo; non che ora non lo sia più, ma una volta che il pianeta viene invaso da deformi esseri semisenzienti e siete in due ad essere sopravvissuti i concetti di bellezza e liceo perdono spessore. Lei sarà comunque la più bella. Lei ha i capelli. E fin qui, direte voi, bello ma niente di speciale; e qui vi sbagliate: lei li ha neri. Avete capito: non solo ha i capelli, ma li ha neri. Eccezionale! Ma non mi fermo: un set completo di sopracciglia, un paio di occhi, naso e bocca al posto giusto, collo seni braccia torso gambe e piedi. Lei ha tutto questo, e non lo fa pesare neanche troppo. Certo, non mi parla e non mi guarda e non respira neanche vicino a me; penso che sia timida, anche se il mio compagno di classe che giocava a calcio ed era il più bello non diceva così. Peggio per lui, non la conosceva; e tanto è stato segato in tanti pezzi diversi di forma e contenuto da un ometto con gli occhiali tondi.

Era una giornata di scuola, come le altre; io, Adelaide [la mia compagna di macello] e Rudolf [il calciatore] eravamo in classe con gli altri durante la lezione di “Protofusione delle Cellule Staminali per Ottenere Combustibile Commestibile”. Si, eravamo in classe insieme, ma lei non l’ha mai saputo. Ero così innamorato [sempre di lei, non di Rudolf; lui era antipatico e mi ustionava la cute facciale con la fiamma ossidrica della bidella] che stavo per lanciarle un bigliettino con la scritta “STUPIDA” [che stava per: “Sono Tanto Ultra-Perdutamente Innamorato Di Adelaide. Non so se avrebbe capito] che questo tizio, con gli occhiali tondi, magrolino, con la faccia grigia e la camicia sporca di sangue, irrompe in classe con una motosega a catena azionata e si avventa sulla prof. dimezzandola. Lì per lì non sapevamo cosa fare, così abbiamo applaudito. Lui non deve aver capito e vomitando bile ha detto qualcosa del tipo “Morrete Felloni” gettandosi su Rudolf e praticando i dettami del “Manuale di Chirurgia Improvvisata con Attrezzi Casuali non Disinfettati”. Dopo un po’ ci siamo accorti che quella che sembrava un incisione di routine al corpo calloso del mesencefalo era in realtà un vero e proprio sbudellamento. Allora c’è stato il panico: gente che urlava correndo e lanciando sedie, mani che salutavano i polsi a cui un tempo erano attaccate, lacrime di sangue, torrenti di succhi gastrici, fontane arteriche e il suono, che alcuni non avrebbero mai sentito, delle orecchie che cadono [bel suono, peccato non aver avuto il tempo di goderselo]. Non so cosa sia scattato in me, ma mi sono lanciato su Adelaide e le ho afferrato la mano. Lei mi ha lanciato molto forte il tomo di scienze e io ho lasciato la presa, tramortito; poi le ho detto di seguirmi. Lei si è guardata un po’ in giro. Oltre all’omino della motosega si erano aggiunti un signore ustionato con uno strano guanto, un ragazzo cicciotello con la maschera da hockey e un machete, un tipo verde palmato, due ragazzi vestiti militari con dei fucili, un affare alto due metri e passa, nero con la testa oblunga e la coda puntuta e altre simili amenità. Data la situazione e comunque molto riluttante ella ha optato per la soluzione da me suggerita. Siamo corsi assieme [io in testa e lei a debita distanza, per non sfigurare con i corpi morenti dei ragazzi carini] verso la campagna, mentre alle nostre spalle il liceo veniva demolito da uno squadrone di soldatini impazziti. Non ricordo per quanto abbiamo corso, circa trentasette minuti quarantuno secondi, quando questo ridente mattatoio dipinto di nero con la scritta “Siete carne fresca, coglioni!” incisa con una mannaia insanguinata sulla porta di ingresso ci si è parato davanti. Sembrava un posto a posto, e poi c’era un orda di creature disgustose che volevano cibarsi di noi qualche chilometro indietro, non era il caso di fare i pignoli. E così siamo giunti fin qui.

Alla fine il posto non è male. Certo, la zone è pattugliata continuamente e così non possiamo né uscire né fare un fuocherello per scaldare il cibo, e neanche muoverci o alzarci, ma non importa: lei ha i suoi integratori proteici [pacco maxi-formato per i casi di invasione mostruosa], io il mio rognone e trippa conditi al fegato crudo che non sono male; finchè non muoio di gotta sono a posto. E poi avevo sempre sognato di dormire dentro a mezzo maiale! Avrei voluto dirle qualcosa in questo tempo che abbiamo passato assieme, ma non ho avuto ancora modo di pensarci, e poi spesso mi incanto a guardarla, e potrei stare immobile per ore con gli occhi fissi su di lei se non mi lanciasse le ossa spezzate che trova in giro, che mi si conficcano negli occhi e bruciano. Vorrei prendere coraggio e confessarle le mie emozioni di spermatozoo infecondato nato da padre morto suicida, ma qualcosa nel suo comportamento mi dice che non è arrivato ancora il momento giusto. Io lo so che, a parte tre giorni, le ragazze hanno dodici mesi di seguito di cose loro, le mestruazioni, che le rendono capaci di sollevare i tir con le ascelle e uccidere le tigri siberiane con un tampax [che è tipo una bomba viscida]; aspetterò che finiscano, sperando non le siano venute da poco. Le piaghe da decubito iniziano a impedire il corretto articolarsi dei movimenti, e una voce sottile ma chiaramente percepibile nella testa mi sta convincendo a confessarle il mio amore e poi trucidarla barbaramente con uno stuzzicadenti che avevo preso a mensa. Ma io le [alla voce] ho detto che i fidanzati carini non fanno così, e visto che sono passati molti giorni in cui ci siamo visti noi due da soli possiamo considerarci oramai una coppia di fatto. Ma su una cosa la voce ha ragione: inizio a puzzare. Non so se sia una conseguenza naturale del mio corpo o una premonizione sull’imminente putrefazione, fatto sta che devo scollarmi dal suolo e trascinarmi con il mio unico arto mobile verso di lei e confessarle il mio Amore eterno per il tempo che rimane. Lo faccio per la vocina dentro di me, per il mezzo maiale che mi ospita, per i vermi nel mio colon, ma soprattutto perché finalmente ho la possibilità di raccattare! Muoversi è diventato arduo: inizio con l’alluce e poi continuo con le altre due dita che rimangono, estendo il tremito di vita verso il ginocmito e poi il basso ventre ed eccomi nella stessa posizione di due settimane fa, ma adesso pronto a muovermi. Striscio lento per non farmi sentire da lei che, resa folle dall’emozione nel vedermi vicino, potrebbe fuggire via facendosi squartare ferocemente dalle ombre veloci. Sul terreno strisciano le piccole creature che abitano gli anfratti e si cibano di ciò di cui io mi cibo, in attesa di cibarsi di me. L’odore di urina sangue acciaio e ruggine mi inebria e confonde, ma proseguo senza demordere: lei dista solo una decina di metri. Ha i ginocchi piegati, le braccia incrociate con la testa appoggiata sopra; starà dormendo. Con la mia forma di uomo-verme sto finalmente per raggiungere la meta ambita e confessare ciò che i feti incompleti come me non hanno neanche mai osato pensare: anche noi spermacefali possiamo amare ed avere successo con le ragazze normali, purché il Mondo venga conquistato da esseri alquanto più brutti di noi [o da noi]. Diverrò il simbolo di emancipazione per i miei simili, quattro in tutto l’Universo. E intanto sono arrivato.

Lei giace silenziosa nei suoi pensieri sognanti. Un mese fa non avrebbe mai potuto neanche concepire la fortuna di trovarsi da sola nel buio con un aborto affetto da lievi casi di schizofrenia sbudellatoria [sono io] in un Mondo governato da creature aberranti. Certo a volte, i casi della Vita!

- Ade, sono io - le dico, scrollandole le spalle leggermente.

Non mi risponde, ma da segno di essere cosciente lasciando scendere molto leggermente, con i suoi modi di dolce fata, un braccio lungo le gambe. “Non mi ha cacciato colpendomi con il fondo metallico del suo spray al peperoncino” penso, consapevole che il tempo trascorso è servito a maturare in lei la consapevolezza dell’interesse che sicuramente prova per me. Con la dolcezza tipica del feto interrotto le parlo:

- Ade, è ormai molto che ci conosciamo, o perlomeno è tanto che io ti spio di notte mentre dormi e quando ti lavi i denti e quando mangi le mutande alle caramelle di tua madre e quando lei ti colpisce con il ferro da stiro bollente sulla schiena… e in tanti altri momenti. Voglio dirti che nonostante il mio aspetto sono anche intelligente, e che la bellezza non deve spaventarti, perché anche tu sei molto bella e penso che siamo oramai abbastanza grandi per intraprendere una relazione durature finalizzata all’appagamento dell’istintualità che tipicamente contraddistingue l’adolescenza. So che al momento può sembrarti affrettato, ma vorrei un figlio da te, adesso, visto che non sei ancora contaminata dalla scarica feromonica della pillola o dalle varie malattie trasmettibili attraverso i rapporti non protetti. Non preoccuparti, una volta usciti di qui mi cercherò un lavoro come si deve e ti manderò a prostituirti solo due o tre volte ogni settimana. Allora... che ne dici? -

Ora, se c’è una cosa che non capisco è l’emotività femminile. Finita la frase la scrollo un pochino per ottenere una risposta, e la zoccoletta cosa fa? Cade a terra morta! Con due chiodi piantati a fondo negli occhi e una smorfia sdentata della sua bocca contenente i resti semidigeriti delle sue ovaie, per giunta! Che maleducazione… Fortunatamente dall’oscurità esce barcollando una creatura tozza e tumefatta, con un unico grande occhio livido sulla schiena, che inizia a masticarle le dita con una delle sue bocche principali. Questi nuovi spazzini sono eccezionali, ti ripuliscono anche le ossa pur di non lasciare nulla in giro. Poi capisco; sulle prime non l’avevo notato, così seccato dall’accaduto: quell’essere ha un martello con dei chiodi in tasca [pensatela come la tasca del canguro, il mostro non ha vestiti].

- Tu sei la vile entità che ha ghermito la povera Adelaide, facendole assaggiare il proteico contenuto delle proprie interiora! Maledetta [presupponendo che sia femmina]!!! – le urlo contro.

In tutta risposta la spazzina, interrompendo il pasto, si volta e mi osserva; poi rantola, si scuote e rigetta. Nonostante la maleducazione nell’interromperla durante il pranzo, la reazione di vomitarmi addosso un collame verdognolo mi sembra eccessiva. Per fortuna che porto sempre con me un kit di pronto soccorso della categoria “anti-collante verde e altre cose schifose rigurgitate dalle creature delle tenebre”. Mi libero velocemente, ma non abbastanza da impedire al mostro di essermi addosso con un triplo salto carpato [perché assomiglia a una carpa] con avvitatore acceso [trattasi di classico strumento punteroluto atto ad avvitare ma utilizzato più comunemente per rimuovere in modo disordinato le cervella]. Schivo sinuoso grazie al mio arto mobile i colpi barbari dell’assalitrice, che inciampa sulla prolunga [per fortuna non esistono le batterie per gli avvitatori mostruosi] e cade rovinosamente, posizionando la “faccia” sul mefitico attrezzo di morte che, per l’appunto, la uccide. Lieto dell’accaduto ma non completamente sollevato mi dirigo a passo sostenuto verso l’uscita; dietro di me qualcosa di sanguinante si rialza per tenere fede alla migliore tradizione horror. Nonostante le aspettative del pubblico pagante è Adelaide ad essersi alzata e ad inseguirmi facendo roteare una balestra che giaceva inutilizzata vicino a lei [altra fortuna il fatto che gli zombi non sappiano usare le armi, contrariamente a quello che pensa Romero in “Land of the Deads”].

- Ade, sei viva! Abbracciami! – e nel dire ciò le sparo una raffica di pallettoni di piombo sacro esplosivo perforante in pieno petto con il fucile semiautomatico adattabile a spermacefali monoartici fornito nel kit di benvenuto per defunti inquieti [“in caso di presunta sopravvivenza si consiglia di ripetere il trattamento per altre tre/quattro volte, aumentando costantemente il dosaggio, fino ad aver raggiunto la piena consapevolezza della rinnovata morte del soggetto. Per ulteriori informazioni consultare lo sciamano di turno più vicino”].

Non si rialzerà più.

Io invece vivrò, ho deciso. Mi farò largo nell’Abisso Oscuro con i miei kit pronto-intervento e il mio unico arto mobile, distribuendo alle Creature del Male sofferenza e ritenzione idrica, facendo sì che ci sia un negro o una bionda tettuta sacrificabile al mio posto tutte le volte che sarà necessario. E poi birra, parolacce ed esplosioni per tutti. AMEN!

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