CHICAGO 22:57
- Vedi, il jazz è come quando ti cade troppo peperoncino nel sugo il giorno che scopri che ti piace mangiare piccante. Però il giorno dopo quasi sempre ti vengono le emorroidi.
- A me non piace mangiare piccante, e quand’è che iniziano a cantare?
- Ma non senti che voce? Direttamente dalla gola di ottone.
- Non conosco questo cantante, e giuro comunque che non riesco proprio a sentirlo.
Duke sorride e scuote la testa, smette di giocare con lo zippo e tira fuori una sigaretta che stava nuotando nella tasca della sua camicia. Mentre accende inspira forte, adora il retrogusto del petrolio in gola. Bud si alza, prende la sigaretta, fa un tiro e la spegne nel boccale di Duke, vuoto.
- La conosco già la storia dell’atmosfera, del mood un po’ noir, ma non mi va che mi intossichi la stanza, stanotte pensavo di dormire in zona e non ho intenzione di sviluppare un cancro da amicizie tossica.
- Potevi anche dirmelo prima.
- Mi andava un tiro della tua sigaretta.
Duke e Bud passano le serate affogandosi di birra di scarsa qualità travasata nei boccali presi in prestito ai pub della gita delle superiori in Germania; poi un po’ di musica, ed è facile sentire alternarsi cool jazz e death metal. Stasera la playlist tocca a Duke, anche se sono a casa di Bud.
- Bud, a proposito: com’è andata con la metallara del secondo anno?
- Siamo usciti insieme sabato sera; sai, usciti nel senso di baciati. Ha detto che sapevo di vomito…
- Davvero?! Che maleducata…
- Mica tanto, avevo appena partorito dall’esofago una creatura perfettamente equilibrato tra lo stato solido e quello liquido; sfumature violacee, retrogusto leggermente acidulo, da intenditori.
- Quindi anche stavolta niente da fare.
- Che dici? Le è piaciuto tantissimo, siamo stati attaccati tutta la sera!
Ridono di gusto. Mentre riprendono il controllo delle contrazioni facciali Duke si guarda in giro, la stanza di Bud lo affascina: è arredata come se dovesse morire da un momento all’altro. Tende nere, pareti rosse, un mobile di legno tarlato pronto ad inghiottirsi le tre felpe nere e i tre pantaloni neri comprati in serie, una scrivania in cui sembra non siano mai passati fogli, le uniche scritte sul piano da lavoro sono state intagliate con cura nelle lunghe nottate a base di Dimmu Borgir. Quello che gli piace di più però è il disegno di Cristina d’Avena sodomizzata da Haidi con uno strap-on; lo ha disegnato un loro vecchio compagno di classe il giorno prima di buttarsi dal tetto della scuola nel cortile asfaltato. Il problema è che non aveva considerato il fatto che l’edificio era costruito su un solo piano, l’altezza era giusta per farsi abbastanza male, ma troppo poca per uccidersi; l’hanno soprannominato “lo svelto”, a volte vanno a trovarlo a casa, nel letto in cui è immobilizzato da tre anni.
- A cosa pensi? Ti sei ingrigito.
- Pensavo al senso dell’umorismo di Dio. Dì, ma tu ci credi?
- Se c’è mi deve un gatto. Maledizione, devo ancora farla pagare a Dixie, quello skin del cazzo! E pensa che ancora non ho trovato l’altra metà di Artie, povero micino…
- Non ci pensare, è che Dixie non aveva più niente in casa da mangiare. No, davvero: Dio! Senti come suona bene. Se fossi Dio me ne starei tutto il giorno ad ascoltare Chet Baker, e chissenefrega del resto dell’universo. Secondo me in questo momento Dio e il vecchio Chet stanno facendo un duo lentissimo, il Signore ha chiesto un paio di lampade rosse al cugino in basso, per l’atmosfera, se ne sono andati nel versante buio dello spazio e adesso se la godono che tu ed io non ce lo immaginiamo neanche, altro che masturbazione e soffocamento insieme. Sennò come la spieghi le guerre in Medio Oriente?
- Che vuol dire?
- Hai mai provato a guardare i filmati degli scontri a fuoco con “You don’t know what love is” in sottofondo? Da paura…
- Tu sei malato! Scommeto che a guardare rotten ti ecciti.
- Su rotten dot com ci va “Don’t explain”, e dopo come fai a non eccitarti?
Bud non capisce davvero come fa Duke ad ascoltare questa roba. Un paio d’anni prima se ne andavano insieme a vedere i Festering Disgust, e ora lo guarda starsene seduto in poltrona, con le sue camicie leggermente ingiallite, il bicchiere di rosso in mano a sfogliare libri incomprensibili, ascoltando jazz. Oddio, e poi la sua stanza: è arredata come se dovesse morire da un momento all’altro! Di un colore strano, quasi blu, non c’è niente tranne i libri e i vinili, una decina di bottiglie piene e altrettante vuote, il letto e un cassettone poggiato a terra in cui stanno ordinatamente ammucchiati i vestiti. La filosofia di Duke: “se dovessi morire non voglio mica che i miei perdano tempo a svuotare camera mia, pensa come dev’essere tetro stare nella stanza di un morto!” Per fortuna che almeno il gusto del macabro gli è rimasto.
23:23
Bud si strofina un braccio, sembra nervoso; Duke lo guarda con un sorriso un po’ ebete.
- Bud, sei pronto?
- Iniziamo già?
- Beh, non saprei, l’ultima volta hai scritto cinque righe.
- Non mi piaceva il tema.
- Bene, oggi tocca a te sceglierlo.
- Io direi che è il caso di farne uno classico. Che ne dici di “Cosa avrei voluto fare e non ho fatto in tempo?”
- Ci sto!
- Pronto allora? Iniziamo.
- No, aspetta, hai soldi nel cellulare?
- Oh mer…
- Bud! Qua c’è il mio, ok?
- Perfetto. Iniziamo?
- Sei indietro di tre parole…
23:24 BUD
La pagina di Bud, macchiata della sua orrida calligrafia, recita all’incirca così:
“Pochi anni fa era tutto più semplice, sembrava di avere tutto il tempo che volevamo a disposizione, eppure non l’abbiamo mai perso; oggi sembra di vivere per abitudine, per una tradizione culturalmente valida, tipo mangiarsi le ostie o perdere alla lotteria. È strano, ho visto cose che mio padre neanche nei suoi peggiori incubi potrebbe concepire, eppure mi sento già stanco, tediato nell’osservare, straziato dal non sentirmi osservato, impaurito dall’anonimato almeno quanto detesti l’idea di essere qualcuno in un mondo che non mi somiglia affatto. Le menti migliori della mia generazione non si trascinano per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, all’alba dormono nei loro letti caldi con la fidanzate innamorate accanto, svegliandosi trovano la colazione fatta, i vestiti piegati e uscendo di casa, guardandosi in giro, si convinceranno che non c’è niente da fare se non imitando qualcun’altro. Non sono sicuro poi che le menti migliori siano poi così migliori; ma sto divagando. Con più tempo a disposizione sarei voluto scendere in strada con un kalashnikov. Anzi no, una magnum. Anzi no, una mazza da baseball chiodata, meno vittime, ma molto più vissute. Fracassare teste in ordine casuale, anche se sicuramente avrei trovato il tempo di togliermi un paio di soddisfazioni tra cui: l’ausiliare del traffico, che aspetta lo scatto dell’ora accanto alla mia macchina per vincere il record di multe fatte allo stesso coglione in una settimana – il proprietario della BMW parcheggiata accanto alla mia Panda che saluta gioviale l’ausiliario mentre mi fa la multa, il cui biglietto sul cruscotto è scaduto nel cretaceo – il tossico all’angolo che ha rigato la BMW solo per invidia, perché lui non ha avuto manco le palle per cercare di essere ricco – il fottuto studente universitario che gira in bicicletta giudicando chiunque entri nel suo campo visivo. Dopo il mio piccolo massacro vorrei iniziare a correre e smettere solo in caso di arresto. Della polizia o cardiaco poco importa. Correre, veloce e più lontano possibile, per fuggire da tutte le immagini che mi sono costruito attorno, per non dover più dimostrare nulla a me stesso nè al resto del mondo, correre senza pensare chi sono stato e chi avrei voluto essere. Avrei anche voluto sentire il prossimo CD degli Impaled Nazarene, ma non penso sarebbe stato così diverso dagli altri. Effettivamente mi sarebbe piaciuto anche…”
Bud sente un tonfo, alza lo sguardo.
23:24 DUKE
Sul foglio di Duke le parole sono più o meno queste:
“Sono sempre stato un bambino carino e gentile, non ho mai ucciso animaletti per sfizio e le maestre mi carezzavano amorevolmente quando facevo bene i compiti. Quindi non c’è motivo apparente per cui dovrei odiare il mondo; guarda caso invece il sentimento è proprio questo. Disgusto, per le creature brulicanti che infettano il pianeta senza pietà e rispetto, limitandosi a vicenda. Se non ci fossero tutti questi problemi con la legge avrei fatto volentieri il serial killer, e penso me la sarei cavata piuttosto bene; parlando concretamente, penso che se avessi avuto più tempo a disposizione avrei tentato di innamorarmi davvero. Finora le storie che ho avuto mi hanno procurato più che altro delle fortissime emicranie, penso la sensazione più intensa che abbia provato sia stato quando quell’oca di Sarah, inciampando sul cassettone, mi ha rovesciato addosso la teiera appena tolta dal fuoco. Cazzo, non c’è niente in camera mia, pensavo che il cassettone si vedesse bene, ma a Sarah piaceva guardare in alto, diceva che le evitava la formazione delle rughe sul collo. Tornando al tema principale: innamorarsi dev’essere liberatorio, un po’ come urlare dopo essere stato dal notaio, ma più piacevole, come spezzare le zampe di un gattino, fargli ingoiare a forza un Alcatel One Touch C635 aperto e pubblicare il filmato su una chat per dodicenni, intitolandolo: “BRICIOLA”. È vero che non mi sono mai impegnato, è che sono così giovane e credevo fosse giusto esserlo senza impegnarsi troppo. Già il passaggio dal metal al jazz non è stato semplice, e quasi perdevo il buon Bud; mi chiedo perché le nostre scelte debbano sempre far soffrire qualcuno che si è affezionato alla stereotipata immagine di noi, come se per volersi bene bisognasse firmare un contratto di immobilità reciproca. Forse avrei solo voluto indossare maschere migliori, pensieri leggeri, sorrisi plastici, si dice che a volte simulare l’orgasmo aiuti a raggiungerlo, quindi perché lo stesso principio non dovrebbe poter essere applicato anche al buonumore? Perché finché non raggiungi il tuo obiettivo stai mentendo. E poi chi l’ha detto che dobbiamo essere felici? E poi chi l’ha detto che non dobbiamo mentire? Qualcuno deve avercelo insegnato, ma penso fosse una bugia…”
La penna in mano a Duke cade, prima sul foglio, poi rotola a terra, e Duke la segue.
23:32
- Hey Duke! Allora stavolta ho vinto... per fortuna, credevo di non farcela più. Aspetta che chiamo. Ecco… sta squillando… non ti preoccupare, tu stai lì buono che al resto penso io… cerca di non sporcare per terra, mia madre ci ha messo una settimana a mandare via le macchie l’ultima volta… SI! Ciao, buonasera, sei Shirley? No, ELLA! Ciao Lady, sono Bud, ti ricordi di me? Era tanto che non ci sentivamo. E dai non iniziare con il solito “ancora, ma perchè, eccetera…” lo sai che ci piace, ci potete dare mille farmaci, non li prendiamo, io ho degli amici tossici che vanno pazzi per le benzodiazepine, uno mi ha pure regalato il suo abbonamento annuale a Topolino; che vuoi, ha 13 anni, se non inizi presto poi vedi i tuoi compagni strafatti e sei fuori dal gruppo. Seee, non è mica così semplice, ci dovete trovare. Che dici tu? Casa mia a La Grange o casa di Duke a Northbrook? Dovete indovinare, conta che è già passata quasi un’ora e anch’io non mi sento particolarmente in forma. Chi ce lo fa fare? Nessuno, e tu non sei costretta a stare a sentirci, puoi riattaccare se vuoi, io chiamo perché mi piace ascoltare la tua voce; mi piace immaginarti con il camice bianco, adesso stravolta per noi due poveri imbecilli, ma tanto domani ti sarai già dimenticata, tornando a casa dal tuo bel marito comprerai il dessert per ingozzarvi dopocena insieme ai bambini. Già, come stanno? Bene, no… con due genitori come voi, che gli manca? Da una parte vi invidio, dall’altra vi odio, insomma non è che proprio mi piacciate, però vi ammiro anche, io non ce la farei. È perché sono viziato, forse perché sono deluso, forse perché nell’ascoltarti mi sento un po’ un amante segreto che ti confida il suo più intimo, forse ultimo, barlume di presente. Beh, adesso devo proprio andare, buon divertimento, comunque vada…”
Bud non attacca, non ne ha la forza, si accascia sul letto ascoltando l’eco delle ambulanze in partenza filtrate dalla linea telefonica, e poi la voce di Ella che continua a chiamarlo, ma è come se dicesse Everytime we say goodbye, I die a little / Everytime we say goodbye, I wonder why a little / Why the Gods above me, who must be in the know / Think so little of me, they allow you to go.
22:46
- Hey Duke, ma quanto ci metti con quella lametta?
2 commenti:
Se non avessi quasi paura del fatto che rifletta il tuo pensiero, ti farei i complimenti...
Bello davvero...
bello, intenso, e crea subito una atmosfera palpabile e densa come una camera con troppo fumo di sgiaretta...
Purtroppo breve, lasci quasi con il desiderio di non lasciare le loro teste. Coito interrotto.
Continui sulla serie dei potenziali assassini inermi reali o fittizzi?
:D
Bravo Berni, periodo creativo decisamente ben accetto.
Continua cosi, vedro di seguire la mia idea quando mi saro disintossicato dalla socialità pixellosa e quando avro una connessione decente.
a presto.
(ho scoperto un genere da approfondire, te lo consiglio qui grazie a last.fm, funeral jazz e doom jazz. buon ascolto.)
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