Ringrazio il mio Dio perché ogni giorno si ricorda di palesare attraverso limpidi segnali [neanche il brivido dell’ambiguità] la mia mancanza di talento. Lo ringrazio, perché mi offre negazioni dove cerco conferme. Lo amo perché mi ha donato una mente abbastanza recettiva da sapere che non ce la faccio ad andare oltre, vedo la soglia e ho la forza di rimanere immobile ad osservarla, mentre intorno il mondo fa avanti e indietro, e non posso fare che congratularmi, perché dentro rodo ma fuori è tutto bellissimo, complimenti a voi, a lei, a te, a tutte le persone meno la prima. Eppure vivo, beh… più o meno, ma comunque adesso, amo il presente, detesto chi vanga un passato sconosciuto come chi aspetta il tempo che verrà, eppure il tempo è fluido, ed io sono fermo, come si spiega? Ma sì, sono un allievo zen, faccio il vuoto per riempirlo di altro vuoto e creare… la noia? No, aspetta, l’iperattività; neanche… ah ecco, l’incapacità. No, l’incapacità è congenita e subdola, perché non mi nega nulla dal principio, lo fa nel momento in cui sono più appassionato, perché mi sbatte in faccia i limiti, ma io la fotto, come fotto Dio, perché dopo le mezz’ore di depressioni paranoiche torno sul ring e ci riprovo, ed ecco un altro colpo, del tutto casuale, un colpo che se ne stava la in aria e a me piace avanzare con le guance protese ed eccomi di nuovo a tappeto, ma io la fotto l’incapacità , la depressione, Dio, l’estetica, le mani, i corpi, le emozioni, i feedback, i flashback, io fotto persino il caso che assomiglia al destino, e sono in piedi, anzi no, sono seduto, ma a testa alta, non troppo, altrimenti prendo freddo al collo, per fortuna mamma mi ha comprato il paracollo caldo e morbido. Voglio andare al mare. Fottetevi, questo è un carrarmato.
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