[ racconto in 13 / squarci e alcune variazioni appena sussurrate ]
Sono trafugati i baci che si danno e ricevono quando uno dei tuoi piedi è già pronto per partire preferibilmente con il resto del corpo attaccato: senti appena le labbra sfiorarti e vorresti essere stato più convincente, anche se il pensiero che non manca molto [nei confronti dell’eternità ma forse anche di un giorno] a rivedervi illude di poterti permettere questi lussi di carenza emotiva; è quindi con un piccolo cruccio privato che prendi posto nel punto più basso che ti è concesso occupare, e con aria di risoluta noncuranza ti assetti nella breve attesa che il motore del n°1 alzi i giri e ti porti lontano dalla frastornante fibrillante frustrazione del sabato sera, della necessità mortale di rendere questo giorno di letizia anche di molte altre persone [non ti compiaci più con te stesso come un tempo per i banali giochi di parole, forse che avere uno spirito pronto non sia più una priorità rispetto ad avere uno spirito e basta].
Osservi, come mamma semiotica adora vederti fare, con l’occhio di falco erudito e critico, pronto a calare per sbranare senza pietà le vite degli sconosciuti che condividono con te questi
Un tram del sabato sera è composto da un assortimento non ricco ne particolarmente variegato, e tu fai parte di questa elite annoiata in cui cerchi di crearti un ruolo che a nessuno fregherà di svelare, un contegno senza spocchia per confonderti e sparire, mischiare il tuo [quasi] vivo organismo con la plastica dei seggiolini per ottenere un ibrido di [quasi] immobile natura; ma se il “TU” di cui parliamo non fossi io saresti un anziana signora silenziosa accanto al suo leggermente più giovane consorte impegnato in vacui discorsi con una ragazza di circa 14 anni, saresti una donna turbata con un gilet rosso, una ragazzetta di 13 anni con il suo chewing-gum, un ennesima femmina dai tratti orientaleggianti al cellulare.
Sono queste le persone che neanche adesso sanno che esisti, e se lo sanno è solo per aver considerato di avere altri umani intorno; mi sembra incredibile come a nessuno mai venga voglia di svelare un intimo segreto custodito dal seggiolino al tuo fianco, come nel non conoscere noi stessi alla fine si perde la voglia di conoscere anche gli altri, sicuramente simili in noi per la spossante banalità che tutto cinge e divora nella sua routinaria crudeltà: perché è di questo che si parla, di “routine”, LOOP nel gergo di chi è abituato a veder ritornare fraseggi, pause, concetti rumorosi che ripetono se stessi ammettendo solo impostati e delimitati mutamenti.
L’anziana potrebbe non esistere sotto i suoi occhi seri: dalla tua posizione non puoi che scorgere dei capelli troppo neri e voluminosi e uno sguardo che respinge ogni oggetto come sgradito alla vista; sono gli occhi duri di chi non ha più niente di interessante da vedere, resi muti da una grigia patina di disinteresse, lontani dal potersi posare con rilassata quiete su di un oggetto desiderato, sopra un immagine che rinfranchi il cuore e distenda il volto rilassato nella sua perenne contrazione; è questo squarcio di volto a darle la cadenza con la quale si dimena immobile dal suo posto a sedere, è con questa perenne condizione di vuoto che la testa si gira a sinistra, torna centrale, si protende in avanti per poi inclinarsi a destra e ritornare diritta indietro assecondata dagli scossoni della vettura.
Il potenziale marito di questa è un uomo ben più completo, visto che è possibile scorgerne quasi la figura intera, ad eccezione di un piccolo lembo della sua parte destra, coperta dal seggiolino dietro di te; indossa vestiti di poco gusto con colori un tempo saturi ma ormai sbiaditi che sintetizzano egregiamente il volto di quest’ultimo: un sorriso sincero ma ormai stampato, legato da alcune rughe a occhi a mezz’asta, stanchi di dover reggere ogni momento questa sembianza un po’ grottesca di benessere ideale; ma c’è di più: nel suo pretendersi avanti e poi a destra verso la sua interlocutrice, poi sorridere un po’ più forte, tornare indietro e annuire finendo col chinare la testa per lo sforzo, nell’afferrarsi le mani e ripetere daccapo i gesti c’è l’ammissione al pubblico dei non osservanti [te escluso, come ti senti importante!] che sulla sua prolissa beniamina vorrebbe stamparcisi, abbandonando il tram con dentro la compagna tardona e fare follie anche solo per un secondo con questa giovane partner che così ingenuamente ma forse non così ingenua segue il gioco dello sguardo indagatore, lo sguardo che attende paziente il segnale di cedimento e timida ammissione di un interesse ricambiato.
Al contrario la ragazza che gli sta quasi di fronte ed esiste solo con la cuffia di un I-Pod incastrata nel suo profilo sinistro [che è tutt’altro che sinistro] è più che mai lontana dal poter concepire una qualsivoglia perversione con il pover’uomo probabilmente amico del padre in carriera o della giovane madre casalinga; lei è talmente rapita dalla propria voce da non potersi permettere una sosta a riflettere sulle parole proferite, sui concetti generali che mischiano così sapientemente cucina, benessere personale e questioni di politica “sociale”; si destreggia tra gli argomenti, ostenta conoscenze banali sapendo miscelare con cura umiltà e superbia, condendo il tutto con una gestualità scattante tipica del fermento cerebrale in atto, azionando le articolazioni rotatorie del polso destro per accompagnare i discorsi mentre la mano sinistra si alza e si abbassa stringendo a morte un ammasso di chip straziati dalla loro multifunzionalità estremamente sfruttata [il cellulare]; la testa seguita dal busto si dondola in maniera garbata avanti e indietro alternando passaggi fluidi a scatti composti, marionetta elettronica con collegamenti imperfetti.
La donna turbata di rosso guarda fuori dal finestrino, e se il vetro non avesse proprietà riflettenti potremmo dire che la sua faccia è orribilmente sfigurata, ma a quanto pare i motivi della sua preoccupazione risiedono fuori, da qualche parte tra le luci della città che si mischiano lente a quelle del grande cimitero comunale, città di morti certi che sfidano i vivi a dimostrare di non somigliarli; l’inquietudine si manifesta nelle mani, scorre attraverso le dita intrecciate che vanno sciogliendosi per permettere a una mano di afferrare l’altra, stringendo per poi tornare lentamente nella posizione iniziale e ripetersi fino a quando non ci sarà un motivo valido per non torcersi in agonia; chi è il tuo aguzzino? Chi gioca con le tue percezioni emotive? Chi merita tutta questa tensione? Ti auguro di risolverti, anche se non sarò io ad aiutarti se non dicendo che al mondo c’è un'altra persona triste che aspetta.
Due uomini tendenti al vicino oriente salgono e si frappongono alla prossima vittima, entrando a far parte di un gioco di cui non sanno le regole o di far parte; c’è un malcelato rapporto di sudditanza del primo, magro e chiuso fisicamente in se stesso, che osserva il secondo, rubicondo per non dire grasso, extracomunitario per non dire albanese, che muove la testa fiera a destra e sinistra accompagnando con gli occhi il movimento, aspettando che qualcuno li giudichi o li arresti, non saprei dire; non hanno timbrato biglietti e in 3 fermate sono arrivati, scendono silenziosi e non aggraziati, senza cambiare espressione: mesta rassegnazione e orgogliosa pacioccosità di chi mangia dal piatto dei suoi involontari ospiti [inteso come coloro che ospitano, maledetti termini a doppio significato]; sono scesi, riparte il gioco senza che i 2 vi abbiano apportato interessanti variazioni.
Masticare: c’è un loop più intrigante e coinvolgente che rigirarsi un pezzo di gomma commestibile tra i denti e la lingua? Finché c’è sapore di menta nulla è più importante di questo accessorio per l’alito, e quando si spegne ogni sapore rimane uno splendido TIC nervoso di massa; lei mastica il chewing gum come una ragazza di 13 anni che non ha ancora avuto la briga di imparare il significato pratico della parola “sexy”, ed è molto meglio così: il suo agitare le mandibole è semplice ma impegnato in qualcosa che fonde i pensieri con un moto biascicatorio piuttosto appariscente; gli occhi sono persi in giro, sfiorano angoli e superfici superficiali, senza lasciare nulla impresso sulla retina che non possa subito rimescolarsi con un oggetto di pari [nullo] valore; spero sia davvero così spensierata, quando avrà voglia di sapere come corrompersi tutto il pianeta che la circonda sarà pronto a darle una mano.
Tristezza portami via. È l’ultima anima che più mi impietosisce dall’inizio di questo breve iter di consapevolezza falsata aggiuntiva; ginoide [versione femminile dell’androide, non so se esiste un termine tecnico migliore] fabbricato nell’Est ma adattato all’Occidente si illude di aver stabilito una connessione con un suo simile tenendo attivo un apparecchio malefico che le devono aver trapiantato in un orecchio; si getta con tutto il corpo abbandonandosi su un sedile, poi riprende posizioni composte inarcando leggermente le spalle e girandosi verso il finestrino per schermarsi dall’indiscrezione che le sue frasi possono suscitare in noi compagni viaggiatori. Pena gioia frustrazione sorrisi e bronci passano standardizzati sul suo volto, alternati da funzioni semi randomizzate, in cui potremmo trovare una logica, un filo conduttore che ci porti a capire che non c’è niente all’infuori di questo continuo vano tentativo di comunicazione, che la vita può essere rincorrersi attraverso frequenze che passano dallo spazio per arrivare spesso a pochi metri da noi; ma per questi non c’è requie né pietà, non parole compassionevoli che vi accompagnino nell’era del corpo digitale perfetto; assemblatevi e Addio!
Sono arrivato, devo scendere e vorrei poter salutare tutti coloro che mi hanno intrattenuto mostrandomi come piccoli loop siano iscritti in melodie più grandi, da me inafferrabili ma solo percepibili attraverso le piccole ripetizioni che formano poi il tutto che è Vita, o totale mancanza di questa. Vorrei dimostrare che sono stati importanti, che una piccola ma non troppo parte della mia esistenza è dedicata a sconosciuti disinteressati forse anche da se stessi, senza domande da porre o risposte da dare a chi cerca in loro significati da aggiungere alla propria continuità, che altro non è che la ripetizione di un processo millenario inscritto nel loop del moto terrestre e della sua evoluzione, a sua volta piccola parte di una sinfonia universale magistralmente diretta da orchestre siderali in perenne, metodica, infinitesimale variazione.
Ma non erano 13 gli squarci? [dormi…]
1 commento:
Decisamente approvata,
un rallenti incredibile ed una profusione di pensieri sempre presenti ma non sempre concretizzabili nel cervello.
Complimenti per la tecnica regge sempre di piu, per interesse tensione e partecipazione ai pensieri, un viaggio alla "strange days" continua cosi ammasso di carne e neuroni astratti.
Jacopo.
Posta un commento