giovedì 24 maggio 2007

V i R G O


Raccontaci una storia, papà castoro; noi te lo chiediamo in coro. Qualcuno forse non saprà che c’era una musichetta inquietante nella sigla che vedeva riunirsi una famiglia di castori [anche se nel mio immaginario sono conigli] intorno ad un anziano; i cuccioli, con gli occhioni luccicanti [appartenenti in effetti più ai conigli che ai castori] lo imploravano di narrare le vicende di qualcuno dei simpatici animaletti del bosco. Tralasciamo l’assonanza che potrebbe portare alla coniazione di termini rocamboleschi come “c a s t o r i a”, e prendiamo in considerazione quanto è bello quando qualcuno ci culla con le sue parole, forse anche giacendoci nelle braccia, narrandoci i fatti in maniera che risultino così belli da non poterlo interrompere fino alla fine. E che piccola soddisfazione invece quando siamo noi nelle braccia del consorte, a narrare, e l’altro ci osserva, silenzioso, estasiato, rapito e per un attimo più vicino.

Ecco, a me non succede: io sono palloso. Me lo hanno detto in tanti, partendo dai miei genitori fino agli amici più intimi [ma non COSÌ intimi, come siete maliziosi]. Non mi si regge, parlo male, le cose le prendo alla larga, impasto, uso un linguaggio difficile, troppi aggettivi, non si capisce quando dico una cazzata, mi puzza il fiato, sono surreale e sputazzo mentre articolo le parole; forse ce ne sono ancora ma fermiamoci qua, è abbastanza per il mio povero cuore sensibile. Sarà per questo che scrivo? No, perché all’incirca scrivo come parlo, e quindi se devo far schifo alle masse non cerco di smentirmi. Però c’è una cosa di cui sono sicuro: la gente mi legge molto più di quanto mi ascolti. Non voglio fare il polemico, è una questione di statistica, e visto che digitare [ebbene si, basta la poesia con papiro e calamaio al chiaro di luna] parole mi riesce con medio-alta velocità… eccoci qua!


Perché tutta questa pallosissima introduzione se tanto questa storia manco è mia? Semplice. Io vi ho parlato, parlandovi di me, e finchè non avrò spento questo aggeggio continuerò a usare le storie mie e degli altri per riflettere il maledetto egocentrismo. La storia che vi propongo me l’ha raccontata un amica, importante come solo le amiche di un ragazzo possono essere: ci offrono la consapevolezza di che cosa vuol dire essere diversi, e a volte possono farcelo pesare, ma non fanno mai mancare quella dose di emotività che spesso ai maschietti sfugge. È per questo motivo inconsapevole che metamorfizzerò la storia che mi ha raccontato, sarò filtro impuro dei suoi pensieri, offrendovi e offrendole la MIA versione dei fatti. Che stronzo, direte. A volte avete proprio ragione…

C’è una volta, nel lontano paese di Castoria [bellissimo nome per una città] una principessa, tanto bella quanto poco apprezzata dai suoi futuri sudditi. Aspettate un attimo però, che adesso ho in mente Castoria e ve la descrivo: Castoria sorge su di una montagna, così ripida e in alto che spesso, svegliandosi al mattino, è possibile guardare dalle finestre a picco e vedere le nuvole sotto di se; è in questi momenti che gli abitanti si sentono più vicini a Dio, anche se qualcuno preferisce semplicemente sentirsi Dio. La gente che abita lassù indossa vesti larghe e raffinate, anche se costruite con quei materiali ispidi e filamentosi strappati direttamente al corpo degli animali dei loro allevamenti: pecore, mucche, orsi, pantegane e mammuth, ma soprattutto castori [che per l’appunto danno il nome alla città]. Ci sono migliaia di castori che vengono utilizzati ogni giorno come cibo, vestiario, vasi per fiori, giochi [“lancio del castoro”, “strappa e cuci il castoro”, “fai accoppiare il drago di plastica col castoro” sono solo alcuni tra i più famosi]. Il paese è di forma triangolare, ma penso che sia piuttosto difficile da immaginare come, e adesso cerco di spiegarvelo: il monte su cui sorge Castoria è quasi perfettamente conico, quindi, guardandolo da un satellite, vedrete un cerchio con un punto nel mezzo. Concentrico e più piccolo c’è un semicerchio poco distante dal centro, dalle cui estremità partono due segmenti piuttosto corti e di uguale lunghezza; dalla fine dei segmenti partono altri due segmenti uguali che si riuniscono, senza includere il centro ma dalla parte opposta, in modo tale che la lunghezza di uno di essi sia uguale alla distanza tra l’estremità dei due segmenti uscenti dalla montagna. Forse è più semplice se vi dico che Castoria è un triangolo messo per Orizzontale nella montagna, che è stata scavata e pende sopra alle teste di circa metà Castorini, nonché sul Palazzo Reale dove abita la creatura precedentemente citata e subito abbandonata. La nostra bella principessa si chiama Virgo, ed osserva il suo regno svogliata mentre inizia la nostra storia.

- Che esistenza triste essere una principessa, non mi caga nessuno in tutto questo regno di montanari mandrilli senza stile e con la fiatella. Qui l’uomo medio si sveglia all’alba, violenta sua moglie mentre mangia una cipolla con i fegatelli di castoro, esce per andare all’allevamento o a scavare la montagna, torna a casa la sera al tramonto, violenta la figlia diciassettenne mentre mangia la zuppa di castoro e cipolla e se ne va a letto. A me non mi violenta nessuno e il castoro manco mi piace. Ah, come sono triste… -

Questi sono i pensieri della povera nobildonna, incatenata dal suo rango a un esistenza alienata. Suo padre è molto malato e non l’ha mai sfiorata; è uno di quei retrogradi che pensano che le donne vadano rispettate e debbano conservare il sacro fiore per farlo sbocciare quando trovano l’uomo della propria Vita, o perlomeno uno schiavo distinto. La ragazza ha già da tempo superato l’età in cui le coetanee perdono la verginità [11 anni], e si sente come menomata di un suo diritto fondamentale; ma lei sa il motivo di questo fatto. Quando aveva solo 3 anni suo padre fece gettare dal vertice della città una donna molto vecchia, che si diceva durante la notte rapisse i castori e mettesse al loro posto del guano modellato a forma di NokiaN70 alto quasi due metri. Il Re, che al tempo era ancora in forze, andò di persona a darle il “sacro spinterello” [calcio nel sedere] per gettarla di sotto; ma mentre la vecchia cadeva urlò una maledizione secondo cui l’unicogenita del re non avrebbe mai preso un cazzo manco a pagarlo [probabilmente si espresse in modo più forbito, ma lei non può ricordarselo ed è così che gliel’hanno raccontata]. Così Virgo crebbe sana bella e illibata, fino ad oggi, che la ritroviamo deperita, bianchiccia e con una voglia di sesso che manco due castori con la sindrome del coniglio tenuti in gabbie separate hanno. Virgo osserva il mondo dal Palazzo d’Ombra, la sua dimora su cui il Sole batte solo per 3 minuti al giorno, quando è perfettamente in linea col vertice della città, poco dopo l’alba. Lei si sveglia tutte le mattine presto e piange sulle coperte di seta; poi, asciugatasi gli occhi col suo fazzoletto in pelle di castoro, osserva il Sole apparire e irradiarla, riscaldandola di quel calore che solo un altro essere umano sarebbe in grado di ricreare. Poi il globo infuocato scompare, e lei rimane immobile, aspettando che il freddo l’attanagli di nuovo.

Non è corretto pensare che non abbia mai avuto nessuno al suo fianco o dentro la sua bocca, ma tutte le volte qualcosa è accaduto nel momento cruciale in cui Virgo avrebbe potuto scongiurare la maledizione. Nella sua vita ci sono stati 3 aitanti giovini, uno dei quali un forestiero che venne gettato giù dal vertice per aver augurato fortuna usando l’espressione “in culo al castoro”, severamente proibita da un editto regio. Tutti, dopo aver sedotto l’avvenente principessina e aver invaso le zone limitrofe alle papille gustative, avevano provato a introdursi nelle regali mutande, ottenendo come risultato la contrazione dei muscoli di Virgo e il consequenziale irrigidimento del corpo di lei e della situazione; scusandosi si erano allontanati per non farsi più rivedere. All’ultimo, che addirittura aveva provato a metterci le mani erano state tranciate di netto 3 dita e se ne era andato grondando sangue sulle candide lenzuola del palazzo reale. Da allora Virgo giace immobile sull’enorme terrazza dalla quale il padre emetteva le condanne a morte, scrutando l’Orizzonte, conoscendo i suoi coetanei con gli occhi bagnati di lacrime per non poter condividere con loro pensieri e sentimenti. Che esistenza triste essere una principessa.

Succede, un giorno come tanti, dopo che il Sole ha già salutato il Palazzo d’Ombra, che Virgo, osservando svagata il fluire continuo della piazza, nota un giovane che non aveva mai visto prima. Avrà solo pochi anni più di lei, ma sembra impregnato di quei profumi Orientali che ti avviluppano solo dopo che hai conosciuto il Mondo intero. Cammina disinvolto, non ha paura dello sguardo delle altre giovani, che lo mangiano con gli occhi ed emettono gridolini di apprezzamento. Lui non ricambia le cortesie e questo le fa scogliere ancora di più; passa tra le bancarelle di pesce marcio e accessori in plastica per piccioni viaggiatori, scuotendo con la sua bellezza perfino i mercanti più duri. Poi si ferma; con la sua chioma nera e gli occhi scuri si volge verso la grande reggia nell’oscurità. Virgo è immobilizzata: non riesce a capire cosa le succeda, probabilmente da quella distanza non può manco vederla, eppure sente lo stomaco attorcigliarsi e capisce che c’è qualcosa in quello straniero che deve assolutamente conoscere.

- Rufus… RUFUS… Voglio quello, voglio l’uomo nuovo in mezzo alla piazza. Lo vedi, vile ammasso di peperoni e sudore? Vammi a prendere il ragazzo baciato dal Sole! -

Dimenticavo che Virgo, da buona futura Regina, non è mai uscita dalla sua dimora. I ragazzi che desidera le vengono sempre recapitati a domicilio in pochi minuti dal possente schiavo Coreano che ha trovato in omaggio con la Maserati [pessimo autista, ma buona guardia del corpo]. Così anche stavolta Virgo ordina, e Rufus parte di buon passo fuori dal Palazzo, verso il centro di Castoria. Virgo si affaccia di nuovo per indirizzare il possente gigante, ma tornando a scrutare nota che il misterioso ragazzo è scomparso, inglobato dalla folla. Rufus è spaesato, solleva alcuni giovani passanti scuotendoli in direzione del Palazzo d’Ombra, ma si sente ripetere ogni volta un “NO” sempre più acido. Virgo è disperata, gli ordina di tornare indietro con un McCastor senza cipolla e si rinchiude nella sua stanza con gli occhi già umidi.

Le lacrime accompagnano tutta la giornata, il suo panino al castoro riconferma il fatto che a lei il suddetto animale non piace, e le bevande zuccherate non integrano quel dolce bisogno d’affetto che prima o poi si manifesta, mettendo a nudo le più arcane debolezze e le più efferate perversioni. Una luna velata dalle nuvole fa capolino sul grande palazzo per poi scomparire ugualmente dopo pochi minuti; a volte Virgo si chiede chi è quell’architetto sfigato che ha incassato la sua reggia dentro al monte Fem, ma alla fine pensa che è una tradizione persa nel tempo. I ritratti naif dei suoi avi mostrano intere generazioni di omuncoli e donnicole bianchicci, poco sani nel fisico e nella mente, isolati, ignari del regno che li circonda; nessuno di loro è mai sceso tra le genti di Castoria, ma, come succede per Virgo, i candidati ad accompagnare al trono gli unicogeniti dei vari regnanti vengono selezionati ed estirpati dalla loro Vita precedente, qualunque sia.

Perché, vi chiederete, c’è questo riferimento al fatto che i Re e le Regine hanno sempre un solo figlio? Presto detto: la cosa che piace di più ai Castoriani è senza dubbio il castoro, ma ciò che viene immediatamente dopo è il gettare cose e persone dal vertice della città. Tutte le volte che c’è una disputa gli sfidanti si combattono vicino al vertice della città proteso nel vuoto, cosicché il perdente possa essere comodamente scagliato nel baratro e l’eco della sua caduta si perda nelle valli; ogni volta che una persona muore è il vuoto il suo cimitero; c’è qualcosa di vecchio in casa, tipo la lavastoviglie o la nonna? Nessun problema, il vertice risolve ogni problema. E così, tutte le volte che uno dei regnanti partorisce un figlio oltre il primo, questo viene adagiato in una culla sorretta da un palloncino bucato pieno d’elio, che precipita lentamente verso il basso portandosi con se il piccolo principe mancato; è in onore a questo gesto semi-magnanimo che la valle ai piedi del monte viene chiamata “Valle dei Principi che Forse Non sono Morti e un Giorno si Vendicheranno mooolto Violentemente”.

Ma una volta ancora abbiamo abbandonato la povera Virgo, che vediamo svegliarsi il giorno dopo. Ripetendo i rituali quotidiani gesto per gesto ritorna a fissare la piazza e, prima che possa chiedersi dove sia finito il suo principe straniero, eccolo apparire di nuovo, probabilmente fagocitato dalla bancarella del pesce marcio dove si era inguattato il giorno precedente.

E qui mi si permetta una digressione sul fatto che c’è un motivo valido per cui a Castoria il pesce è marcio: facile, a Castoria non ci sono mari, fiumi o laghi. L’acqua fuoriesce da una stretta fessura nella roccia sopra il Palazzo d’Ombra; da questo viene inglobata e, dopo aver fatto il giro di cannelle, lavabi e latrine, distribuita equamente al resto della cittadina, escrementi compresi; chiaramente non c’è pesce che esca dalla fessura. Il mercante di pesce è un mestiere rituale a Castoria: c’è n’è uno solo per generazione che per giunta muore a 19 anni per intossicazione da spore decomposizionali aeree; il suo unico odorato pescesco gli permette però di accalappiare una delle ignare paesane, con cui consuma tragico amore verso i 15 anni e le fa partorire in circa un mese e mezzo un branzino antropomorfo, cosicché a 4 anni un nuovo mercante di pesce è pronto a sostituire il padre, intrattenere i cittadini e far nascondere bellezze straniere.

Egli [lo straniero, non l’uomo-pesce] rigetta il suo virile ma non troppo malizioso sguardo sul Palazzo, e ancora una volta Virgo cade preda del fascino escastoriano [nel senso che viene da fuori] dell’uomo. Ancora una volta urla al suo gorillautista di prenderlo, e come per un perverso rituale lo straniero scompare ancora. I giorni si susseguono scanditi da una sempre più cocente passione che divora la principessina e un sempre più occulto occultismo del giovane di bella presenza; Il sole sorge e cala senza che Virgo abbia potuto avvicinarlo, senza che ella possa decantare il suo Amore per cotanta sfuggevole bellezza. Ma “se il castoro non va in montagna viene travolto da una frana” - così dice l’antico saggio proverbio inciso sul primo scalino della gradinata che sale al Palazzo d’Ombra. Virgo non conosce niente del mondo che la circonda, ma al momento può sentire solo l’ardente passione consumarla ogni giorno di più, e deve prendere una decisione; così un giorno, dopo aver sedato il Coreano con della castorfina [noto oppiaceo locale] e aver salutato il padre con una mano [tagliata dal Coreano], si appresta a uscire, velata degli abiti meno regali che possiede, un taglier di diamanti placcati uranio e un paio di jeans rosa a puà verdi.

Le vie della città sono popolate dalle facce che ogni giorno Virgo ha visto sudare e sanguinare per assicurarle il suo regale stipendio; da vicino la popolazione di Castoria sembra puzzare parecchio di più. Mascherata da un paio di Castoreyban e un fular di seta sintetica gira tra le bancarelle, incuriosita e affascinata da quel pulsante / puzzante mondo che da sempre le scorre davanti senza fermarsi: c’è l’uomo della verdura che fa anche da sexy shop [il “cetrioli & carote market”], la drogheria del venditore di fumo afgano che sbaglia i risultati delle partite e l’estrazione della tombola, il negozio di gioielli commestibili ma indigesti [fatti con il tipico metallo estratto dalla montagna, il castORO]

, l’artigiano che fa solo armature taglia castoro per i buffi combattimenti della CBFL [Castoria Beavers Fight League] e il mistico pescivendolo. Virgo ritorna alla realtà della sua uscita e si ferma davanti alla bancarella; il pesciaio, già diciottenne e oramai prossimo al decesso, le fa cenno con la testa verso il vertice della città. Virgo osserva.

Stagliato in controluce, fiero della sua giovanità e aitanza sta lo straniero tanto bramato, e guarda verso di lei; Virgo vibra come le carote automatiche del verduraio, ma cerca di non darlo a vedere troppo. Il giovane le sorride, consapevole dell’identità della principessa in incognito e sicuro di aver turbato il regale equilibrio mentale; di rimando Virgo perde un po’ di bolle di saliva dalla bocca e inizia a fremere molto più vistosamente, scossa da convulsioni emotive. Il ragazzo non si cura di queste naturali reazioni corporee e, facendole cenno col capo di seguirlo, scompare nella Scalinata dell’Abisso, l’unico modo per entrare o uscire dalla città: 17 scalini intagliati nella roccia, poi un sentiero scosceso che si disperde tra le rocce aguzze avvolto da cespugli di spine e teschi di castoro nella nebbia densa di terrore [è in questa zona che hanno girato il cult “the Fem Castoro Project”]. Virgo è una principessa, quindi le sue percezioni le comunicano “strada di fiori con inebriante profumo, cielo limpido e tranquillità semi-omosessuale neo-hippy”; può proseguire senza timore.

Scende veloce lungo la scalinata e si inoltra nel sentiero, riuscendo a scorgere solo con la coda dell’occhio il giovane dileguarsi nella macchia di primule odorose / orchidee insanguinate. Il sentiero segue intricati percorsi fatti di etereo perdersi e ritrovarsi, non ci sono che pochi zampettanti animaletti che si dileguano al passaggio dei 2 amanti potenziali. Il Beautiful Stranger distanza Virgo di quel tanto che basta per non far perdere le proprie tracce, ma rimane comunque abbastanza lontano per essere solo una fugace presenza tra il fogliame che va diradandosi vistosamente ad ogni metro, direttamente proporzionale con il crescere della verticalità del monte. In pochi minuti Virgo si trova a tentare di arrestare la sua caduta nel muoversi veloce sulla roccia arida, oramai provata di ogni orpello naturale. Da questa nuova prospettiva nota una particolare fondamentale: Fem non è affatto perfettamente conico: alcune centinaia di metri dinnanzi a lei 2 semisfere schiacciate si erigono sui due lati del sentiero, convergendo su di esso e lasciando solo una piccola strettoia in cui incunearsi. Ed è proprio in questo punto che lo Svettante attende con sguardo d’attesa senza fretta l’illibata trascinata dal flusso feromonico in tripudio primaverile; Virgo cede allo sguardo e si abbandona al suolo, rotolando scomposta verso il suo obiettivo. Ma a nulla valgono i graffi inflitti sulla sua pallida pelle: quando torna ad alzare lo sguardo verso la sua meta antropomorfa di lui non rimane che uno scomparire nella strettoia. La principessa, sgorgando lacrime fisico-emotive si rialza, riprendendo l’ardua camminata.

Il bell’uomo non sembra curarsi dei patimenti inflitti nell’altra, e il suo camminare diventa presto un trotto incalzante e poi un galoppare impavido. Virgo corre, inciampa, perde saliva e sangue e supera lo stretto, notando sulla sommità delle 2 semisfere dei piccoli coni spuntati, come resti di templi profanati dal passaggio del ragazzo. La sua corsa si fa informe ancheggiare zigzagando sul sentiero che oramai è una semplice retta indicazionale della strada che si protrae dritta e scoscesa. Passano un paio di chilometri che la ragazza si trova a dover aggirare un nuovo ostacolo: di fronte a lei si apre una cava, non molto ampia di diametro, ma profonda e densa di misteri che girano attorno a irrecidibili legami. Virgo segue fedele le orme intangibili di colui che sta aprendo la strada di una nuova consapevolezza; la sua testa inizia a farsi leggera, le percezioni sono confuse, le sue ascelle secretano odori instabili e si sente come pervasa di un eccitazione nuova a cui sembra impossibile poter rinunciare. L’inseguimento prosegue, ma un nuovo scenario ci si para di fronte.

Una parte abbondante del monte va verticalizzandosi ulteriormente e seccamente, anzi inclinandosi all’interno del Fem, in un punto dal quale riprende una vegetalizzazione folta e ingarbugliata che segue le pareti scoscese, assecondandone le linee, accarezzandone i contorni e le irregolarità. È attaccato a uno di questi arbusti lianici che sta il travolgente maschio, mentre si accinge a scendere in un piccolo spazio molto in basso, un accogliente lembo di roccia che Virgo scopre non essere altro che l’entrata di una caverna altissima che si apre lungo tutta la parete. È in quest’antro dall’ingresso pluristratificato che si è diretto lo straniero, forse per presentare a Virgo il suo habitat naturale in cui vorrebbe farla vivere. Lei del resto sembra sulla soglia della pazzia, con gocce di sudore freddo che le solcano il corpo e una strana irrefrenabile volontà di proseguire per raggiungere le zone più profonde della grotta, per conoscere i suoi misteriosi abitanti e,soprattutto, per seguire l’amato avvolto in un alone di profumo che ricorda vagamente la bancarella del pesce di Castoria [già così lontana], ma che insomma addosso in lui si pregna di nuove sfumature di piacevole coinvolgimento; è così varca la soglia ed entra.

La grotta è umida, piccoli detriti rocciosi vengono giù con l’idrossigeno liquido, le pareti sembrano quasi morbide, scosse da contrazioni e dilatazioni che rendono l’ambiente circostante vivo e pulsante; Virgo accende il visore a infraverdi in dotazione standard alle principesse di Castoria e inizia a muoversi nell’ambiente circostante, circospetta, con il dito sopra al “detonatore anti-stupratori e fiere feroci” acceso. Un ombra si muove sempre più veloce nello stretto cunicolo che va perdendosi nelle profondità di Fem; non può essere che il suo amato. Virgo saltella veloce da una pietra all’altra, ferendosi le vesti e strappandosi la pelle nel tentativo di stare dietro ai passi incalzanti; corre, scivola, cade, si asciuga dal viscidume in cui ha infilato la faccia, si rialza, riparte, cade di nuovo, stavolta su un cumulo di feci alto 70 centimetri circa, non si perde d’animo, continua. Il passaggio è stretto, ma non difficile da attraversare, e c’è un barlume che sembra provenire da qualche parte in fondo al cunicolo; piccole scintille di luce si rifrangono nelle gocce sulle pareti fino a pungere gli occhi di Virgo, resa cieca però solo dal suo Amore fuggente. Poche decinaia di metri ancora e la stretto sembra allargarsi; è da questo punto che il bagliore si fa più intenso, è li che dev’esserci la risposta alle necessità della principessina.

La prima cosa percepibile all’ingresso, dopo che gli occhi si sono abituati alla tenue luce della sala, è il giovane straniero inghiottito intero dal drago. Poi si nota tutto il drago: un gigantorettile arcano di eccelsa fattura, grigio scuro con le finiture delle scaglie rosso acceso, estensione alare di 12 metri circa, coda lunga e biuncinata, corna zigrinate che fanno un paio di giri su se stesse rivolgendo la punta verso gli osservatori, occhi vitrei in cui brucia la voglia di terrore, odore di zolfo e sangue, fauci spalancate rivolte verso l’alto per inghiottire meglio il ragazzo; dovrebbe essere il modello St.ORM/317 della Castor & Figli SPA, ma al momento Virgo non possiede certezze. Il suo amante che non ha fatto in tempo a diventare tale è finito nella gola di un orripilante mostro che ancora assapora la bellezza inghiottita senza troppi preliminari. Qualcosa ribolle nel corpo della principessa sotto shock, sente che lo stomaco si contrae in spasmi lancinanti e qualcosa le ricorda che un tempo avrebbe già vomitato se non fosse che adesso deve correre. VELOCE.

Se per seguire un potenziale futuro principe di Castoria aveva impegnato tutte le sue risorse di amante, per percorrere la strada al contrario è necessaria una spinta ancora più forte, egregiamente rinvigorita dalla paura. I suoi piedi slittano tra le rocce con la ferma consapevolezza che non è proprio il caso di scivolare: la bestia la sta inseguendo con il lanciafiamme [accessorio di serie incluso nel BasicPACK] impostato su “principidio”, con i suoi possenti muscoli tesi distrugge le rocce intorno, allargando il passaggio che sembra cercare di dilatarsi ma finisce comunque per essere frantumato dalla dolce violenza dell’animale. Ancora pochi metri di sudore sugli occhi, il calore intorno aumenta considerevolmente, schegge di roccia sparate a forte velocità feriscono Virgo, il cui flusso di adrenalina non le permette di sentire nient’altro che la necessità di evadere, volare verso un lido sicuro al di sopra delle nuvole. I vestiti le si strappano, i capelli ondeggianti le coprono la vista, ma non abbastanza da occultare la luce di libertà poco più avanti. Un passo dopo l’altro in una cieca corsa verso un punto che si dilata in verticale e si fa apertura e basta solo uno sforzo di volontà per non far cedere il corpo prima che abbia varcato la salvezza e non serve guardarsi indietro per sentire l’alito infuocato del mostro che avvolge il corpo oramai nudo di un principessa saporita che non vuole fare da spuntino e chissà come sta il pescivendolo di Castoria?

S A L T O O o o o ! ! !

A volte la velocità non può niente contro un drago, ma dove manca la forza il corpo acquista fascino, e come per una volontà più forte di qualsiasi bestia estinta il serpente alato si fa giaciglio per l’atterraggio di Virgo, che piomba sul corpo squamato e li giace, incredula, per alcuni secondi, prima che l’estasi del volo la trascini in alto, sopra ogni percezione possibile. Issandosi a cavalcioni sul collo ruvido vede il mondo farsi solo un ricordo centinaia di metri sotto la sua pelle scossa da brividi di meraviglia; la bestia deve aver perso uno dei suoi appetiti, consapevole del suo carico acquista velocità scagliandosi in morbidi ammassi di spumosa bianchezza, piroettando vorticoso su se stesso, attento che la sua preda si senta rapita ma non perda la presa e rimanga su di lui, condividendo l’alternarsi del volo con il planare dolce in caduta libera verso l’infinito; non più una terra e un cielo, ma un indiscriminato mescolarsi di pazzia acrobatica. Virgo ammira estatica il paesaggio cambiarle attraverso nel mescolarsi dei colori che solo dal cielo possono sembrare così lontani eppure allo stesso tempo vividi, saturi di una gioia amplessica; il corpo di Virgo assorbe le correnti, riesce a percepire il sangue e i muscoli pulsare nel suo destriero, gode il profumo della velocità osservando i suoni farsi echi in rifrazione. Il monte appare nella sua totalità, un cono rovesciato irregolare, teatro di una storia triste quanto piena di ebrezza, Amore e Perdita, Frustrazione e Coito di Sensazioni sulla pelle lambita dal Desiderio di non fermarsi più.

Ma niente è eterno, nemmeno la capacità dei grandi rettili di stare sospesi troppo a lungo; è così che Virgo si ritrova a planare verso Castoria, che sembra così diversa dall’alto, così invecchiata, così schiacciata. Atterrano sul vertice, e basta poco per notare che Castoria non esiste più: Fem ha ceduto, probabilmente la cava è andata troppo in fondo e ha fatto sgretolare le rocce portanti, facendo piegare il monte su se stesso, inglobando completamente la città, compreso e soprattutto il Palazzo d’Ombra; rimangono detriti, macerie, un paio di pesci schizzati fuori dall’urto, un piede di Rufus, veloce ma mai troppo, la videocassetta con il trailer di “Castoro Project 2: the Ghost of Fishseller” e un paio di castorini intimiditi ma integri. Virgo non si sente tanto bene, le gambe vacillano e la mente si piega di fronte al desolante spettacolo; anche il drago comunque è decisamente debilitato: tossisce, sbava, trema; con un colpo di reni finale un ondata di succhi gastrici e pezzi vari si riversa nella parte di piazza rimasta integra.

Ma, stupore delle meraviglie, le sorprese non sono finite: dalla colata di vomito emerge una figura, puzzante, ma ancora viva; lo STRANIERO BELLISSIMO! Virgo dimentica ogni preoccupazione, tutti i sentimenti tristi e corre ad abbracciarlo, rimanendo consapevolmente invischiata nel suo corpo posticcio ma ad ogni modo muscolico e abbronzato. Rapita dall’emozione non vede il drago annuire lentamente, rimpicciolirsi un po’ e volare via, sputando fuori un ultima, flebile fiammata. Le lacrime le scavano vie di fuga nelle guance mentre i castori le rosicchiano una gamba, coinvolti emotivamente dalla situazione e un po’ affamati. Lo straniero la tiene stretta col suo corpo, ma anche con le braccia; passano alcune settimane, poi, staccandosi, la guarda e dice:

- Piacere, mi chiamo Salvatore. Lo sai che l’altro giorno t’avevo vista a palazzo e un’eri per niente brutta. Te come ti chiami? -

Virgo è rapita dalle parole del vero uomo per cui ha patito così tanto, e in un primo momento pensa di non sapere cosa dire dall’emozione. Poi, pensandoci un attimo, capisce che è successo un fatto eccezionale quanto preoccupante. Virgo si è dimenticata il suo nome!

the END

Postfazione

Che patimento! Mado’ per scrivere questa storia quanto c’ho messo! È partita che doveva essere una fiabetta e adesso che è finita mi sembra parecchio meglio dell’Ulisse di Joyce. Chi ha da intendere intenda, ma sappiate che c’ho messo veramente l’anima e il cervello tarato per scrivere sta’ montagna di cazzate. Il finale è un po’ tirato via, probabilmente ci rimetterò le mani quando mi verrà qualche gag simpatica; i concetti comunque sono questi, il modo di scriverli pure. Se siete delusi e sentite di aver perso mezz’ora della vostra vita pensate a me che per scriverla c’ho messe quasi 10 ore! Adesso uscite [dal web, di casa o dai confini dell’Universo conosciuto], andate dalla vostra ragazza e baciatela, se siete donne diventate lesbiche e seguite il precedente procedimento; voi non sapete perché lo fate e lei neanche, ma io sono sicuro che farà bene a entrambi!

Alla fine che cosa rimane di una storia raccontata più o meno bene? Un retrogusto, un flashback evanescente, un fantasma senza catene che ha solo la sua trasparenza per farsi accettare dalla vostra razionalità dilagante. Spero di avervi cullato tra le mie braccia pelose per un po’ e mi auguro che tutti voi, piccoli castorini e castorine, possiate tornare per udire altre mirabili storie e leggende. E poi c’è quel cazzo di drago che è da ore mi gira fuori dalla finestra…

:n°iZ:

Nessun commento: