sabato 23 agosto 2008

FRAGMENTS, COME QUELLI DELLE ELEMENTARI

Ubriaco infetto prima delle cinque del mattino, in attesa di un’alba che sia vera transizione da uno stato all’altro, non definita da opposti ma dall’attività che porta scritta con se. Ho parlato con Dio, mi sono accorto di avergli chiesto tante cose senza mai chiedergli scusa, scusa perché vortico senza fermarmi e a volte non capisco, perché sono in guerra, quel conflitto tutto personale che mi vede barricato nei miei pensieri alienati. Guerra, oggi, ieri, sempre, sono morti cinquanta bambini in medio oriente, cinquanta individui a cui è stata revocata la licenza di crescere abbastanza per innamorarsi, per perdere anche, per provare ancora e fallire chissà quante altre volte, che cosa può fregartene quando al posto mio sono morte decine di persone che non avevano nessuna intenzione di frenare il proprio cammino evolutivo; e solo un pezzente occidentale può piangersi addosso, essere così patetico da dimenticarsi sempre che almeno la possibilità ce l’abbiamo ancora, spesso più del dovuto, più di quanto possiamo immaginare. Ma a Dio l’ho detto, questa storia dell’estate 2008 non va affatto; è arrossito, mi ha guardato scuotendo il capo, dicendomi parole che non saprei come tradurre, ma questo è il senso: problemi all’ufficio brevetti, questa estate non ha superato i test diagnostici ma l’abbiamo dovuta immettere comunque, eravamo già in ritardo. Vedi che allora qualcosa di sbagliato c’è, perché questa estate stiamo perdendo, noi stessi e gli altri, perdiamo la fiducia delle persone a cui diamo fiducia, ci facciamo a pezzi da soli, lentamente, ma l’estate non ha pietà e ci rinfaccia ogni cosa, lei, con il suo calore di cicale addormentate ci ricorda che l’eternità non ci spetta, non finchè è l’infinita mutazione a travolgerci mentre noi nuotiamo controcorrente, divani calducci ci riposiamo aspettando il crollo, la catastrofe, inevitabile come i Baustelle. Ma come si fa a inquisire la volontà, a portare al banco dell’accusa l’emotività e ogni paranoia formulata dal generatore automatico di incubi, è vero, ho di nuovo tirato teso temo tragici tempi avvenire se non riesco a liberarmi di quella pulsione, ma come si fa se è proprio Eros a contrapporsi tenendo per mano Thanatos. No, mi dispiace, la via ascetica la percorrerà chi la desidera, io vivo per appassionarmi, per essere portato via; sarà una tempesta continua? Meglio che affogare in un bicchiere d’acqua. Sapere cosa perdiamo, sapere cosa abbiamo; a me è rimasto l’affetto profondo di molte persone, la capacità di improvvisarmi senza sapere niente, a me è rimasto ogni sorriso, ogni goccia di pioggia che deve cadere ancora. E le illusioni: come si fa a vivere senza? Ma la gente pensa davvero che il desiderio, l’illusione e l’utopia siano così distanti tra loro? Sono parole che indicano tensione, e a sua volta tensione è una parola che sto logorando da quanto mi piace, così piena di prospettive, come me che a volte mi dimentico di averne e proprio in quel momento mi spezzo. Ma non buttatemi via, una cosa rotta non è per forza inutile, deve solo aggiustarsi ed essere più bella di prima, perché esiste di nuovo, più fragile. Con Dio ho parlato anche della fragilità, e mi ha detto che non è molto felice: lui ci ha donato la fragilità per affrontarla, mentre sembra che vogliamo sempre scappare per paura di romperci, a volte anche solo di sbilanciarci, di guardare oltre. Abbiamo paura di affrontare i problemi, e ci frantumiamo subito, come se nel guardare fosse incluso il moto gravitazionale verso lo schianto finale. Dio che hai donato il mondo per affliggerlo con la mia ubriachezza molesta nei confronti di Word97, abbracciami, perché hai messo in noi desideri che non tengono conto di niente, che si confondono tra loro, e adesso non mi concedi di ricordare il vento che mi accarezza la testa pelata, le stelle che mi ammiccano quando non c’è luna, lo sfregarsi sensuale delle onde di placenta nera, il sudore che mi si conficca nella pelle mentre sempre più veloce ingoio insetti volanti e sputo urla di Verdena, il bacio freddo del mare notturno intriso di notte. In ogni chilometro che faccio, dietro ogni chilo che perdo, dopo essere stato incollato all’asfalto sono più veloce dei ricordi, e corro a volte senza fuggire, a volte è già abbastanza.
Chi mi parla del tempo che passa solo a volte, chi mi parla dei sogni e della realtà in eterno contrasto, chi mi parla di lei o di te che leggi, chi mi parla di me, chi mi parla senza dirmi niente e chi non mi parla affatto [e ti prego parlami allora], parliamone. Ma agiamo, io con voi, e soprattutto: Grazie.
Anche al delirio, che a volte troppo male non mi vuole.

2 commenti:

Jacopo ha detto...

non commento perche sarebbe come buttare un sasso nell'acqua quando si è appena placata e non ci sono piu onde crespe.
Ma cazzo che testo.
Se questo è quello che produce l'alcool nei tuoi neuroni ti spingero verso la droga pesante (famoso placebo di Eros se non ricordo male?)(o spippi o pippe?)

In attesa del tuo aggiustamento, continua cosi', perche hai una cazzo di Arte quando scrivi secondo me palese.

Buon proseguimento e buona corsa.

Colonna Sonora:

http://it.youtube.com/watch?v=O1mCQKuvzCM

Anonimo ha detto...

Merci mon ami,
Giovedi Marta sui tubi, poi capossela e poi volendo death metal. ci dovremmo essere!

J