venerdì 9 marzo 2007

le ALTERNATIVE NON Devono COINCIDERE

C’è un Alternativa. Sto baciando un ragazzo dall’altra parte della sala caotica. Troppo caotica o troppa lingua non saprei decifrare da così lontano, immersa nell’ossessivo battere quattro quartico di una musica che decima decibelizzando l’udito.

Distrarmi sembra che possa non funzionare; vago con gli occhi nella distanza che mi separa dall’ammasso di carne pulsante più prossimo alla mia discrezione: 17 centimetri, una distanza del cazzo. Provo a dimenticare [visto che non so annullarmi come gli altri] ma le mucose sono un turbinio di fluidi in ricambio continuo, il calore di balli mai accennati da un io che pretende di essere l’originale si condensa in gocce di sudore lungo la schiena, bagnano il reggiseno e continuano a scendere fin dove la schiena si separa e diventa interessante. Per gli altri, a quanto sento.

Indosso una felpa molto pudica e infantile, un misto tra Heidi & Madre Teresa, non so se mi spiego: rosa morte con stelle rosa morte saturo, con cappuccio [per avvicinarmi all’ambiente rave ho dovuto sbilanciarmi]; jeans di cotone che non provengono dallo sfruttamento di uomini animali o piante, ma dal loro naturale disgregarsi e cedere pezzi alla causa; scarpe lavorate a mano da monaco tibetano esperto in Calzerologia [Arte Divinatoria per la predizione del futuro attraverso l’odore dei piedi].

Al contrario io ho addosso un paio di straccetti minimali provenienti da scarti della lavorazione dei cuiouti maiali industriali finiti nel petrolio per cause accidentali: reggiseno-capezzolant, tanga-intruder, tacco-dominator.

Nell’Alternativa le stellette sono calate al sorgere della Notte e delle sue devianze, abbracciate gioiosamente della compensazione del mio Spirito, che stanotte prende forma terrestre e mi deride, svezzata alla Corte del Desiderio per essere ceduta nelle mani dei protagonisti alienati che animano di massificazione la sala sudata.

Non la odio, senza di lei mancherebbe qualcosa di mio al Mondo, ma questo sapore amaro che viene inghiottito prima di prendere forma deforma la mia visione dello spazio circostante e mi fa scappare verso il bagno. Non ho niente contro chi si droga, ma non capisco perché debba essere io a farlo.

Le pareti pulsano neon blu sull’aumentare della mia capacità percettiva. Odore di urina aromatizzata VodkaLemon. C’è un ragazzo nero molto poco convinto di esserlo, sui 100 chili. Mi guarda passare dubbioso sul mio stato di salute; io gli sorrido conatica e sfreccio verso la prima porta chiusa occupato scusami forse meglio la seconda qua può andare sciogliti stomaco. BlUrGgh!

Non so se trasferendoci le sensazioni il ragazzo che mi starà baciando abbia il sentore di un retrogusto gastrico; poco male non è un problema mio, penso.

Mi do una ripulita e penso che c ‘è un motivo valido per cui il nostro organismo sta per 9 mesi in abluzione. Pulisco la faccia, i peccati non commessi e torno in superficie. Mi vedo. Vorrei aver avuto qualcos’altro da vomitare.

Mi passo accanto perfida dominatrice e penso che forse potrei riuscire anch’io a piegare le forme di vita senzienti se volessi, con astuta innocenza. Ma ora come ora la mia attenzione è su di me che sdegno il guardarmi e con passo ondeggiantemente sicuro sono sul ragazzo nero che sembra riacquistare le sua consapevolezza. Non ho voglia di godermi il resto, qualcuno che godrà al posto mio ci sarà di sicuro. Il sapore di sperma è una sottile vendetta al conato, penso, dopo pochi minuti.

Risalgo e siamo di nuovo sullo stesso piano, in attesa di una mossa che porti alla risoluzione di questo duplice evanescente inconveniente. Mi sono conosciuta solo stasera, e penso che per me valga lo stesso, nonostante sembri molto meno intimorita da questa Alternativa.

Al principio sono sempre sguardi incuriositi, di chi nota una certa somiglianza con le proprie caratteristiche somatiche intraviste vagamente su specchi distorti. Ma poi i particolari iniziano a coincidere: un neo troppo al suo posto, quella cicatrice sinistra su una mano, quell’impercettibile strabismo di Venere introflesso che sbandieravo audace e unica fino a qualche ora fa, quel sorriso sbarazzino che non ti farà mai capire oltre a ciò che già si era inteso. E sono questi particolari insignificanti a renderci una. Che ci rendevano una. Prima. Prima di sentirmi scissa e impotente di fronte a tutte le ombre che ho fuggito in questi anni e che ora trovano densa forma di fronte a me e sbeffeggiano quel buonismo da cittadina evoluta così bello da ostentare. Sarei potuta crescere diversamente, più equilibrata nel mio camminare sopra un filo, accettando le zone d’ombra su cui veniva fatta luce, Ma ho optato per chiudere gli occhi e far tornare indietro l’ombra, nel suo abisso da dimenticare. Adesso l’abisso mi guarda ed esige una risposta. L’avrò.

Palpeggio stranieri fuori luogo che aspettano mani sapienti consenzienti, non dedico attenzione al patetico ballo ormonale che mi circonda e mi getto nel mare di noia evaporante per raggiungermi e scontrarmi nel centro.

Il tragitto sono 3 pulsazioni in cui il sangue percorre una bella porzione del mio essere, quello fatto di carne e terminazioni nervose in piena attività. Quasi mi tocco nella foga dell’incontro. Nell’essere così vicina i 17 centimetri di sicurezza sono diminuiti vertiginosamente e sembra di stare sull’orlo friabile della mia coscienza. Sguardi invadenti ed indagatori colgono particolari latenti che mi erano sfuggiti, riconfermando inutilmente una sicurezza. Sorrido ricambiando il sorriso, nonostante il mio possa suonare molto più di circostanza. Conta il gesto, contano la vicinanza e il mio odore di prostituta per piacere; hanno senso i sensi tesi a sentire la compenetrazione delle percezioni. Vorrei poter scappare dal magnetismo che mi contraddistingue, ma non ho mai avuto possibilità di sopire il narcisismo latente. Non sento più sapori, a dire il vero ci sono innumerevoli universi vuoti turbinanti intorno a me che annullano quello che un tempo erano i miei apparati di mediazione con il pianeta. Labbra. Non c’è più un Alternativa. Lingua. Non ora che ci siamo baciate. Metempsicosi.

Il resto è storia. Una storia. Scritta nelle pagine di un quotidiano uscito nel mattino che avrebbe dovuto sostituire la notte nei miei occhi assonnati, se non fossi morta. “Overdose” è un nome di inchiostro su carta riciclata. La verità è che sono tornata ad essere una.

08 Gennaio 2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good