giovedì 6 maggio 2010

.OFF

Quella mattina di Maggio sembrava tutto normale. Kia si svegliò senza riuscire a ricordarsi il sogno che aveva fatto, gli sembrava che ci fosse un robot scontroso o qualcosa del genere. Con i piedi nelle pantofole decise di andarsi a lavare senza altre preoccupazioni. Accese la luce e si guardò nello specchio: che meraviglia! Aveva la faccia piena di nuovi brufoli. Eppure aveva provato a mangiare meno cioccolata, ma quell’adolescenza maledetta con i suoi inconvenienti estetici non finiva mai. Si cosparse di sapone, sciacquò sbuffando, si asciugò e scese per fare colazione.

Tutta la sua famiglia sedeva già attorno al tavolo. C’erano la mamma Katrina, importante manager di una ditta di asciugacapelli, il padre Ugo, guidatore di treni dall’età di vent’anni, e la giovane sorellina Manna, che ancora non aveva capito se era una benedizione dal cielo o una bestia mannara. Si sedette e iniziò a spalmarsi una fetta biscottata con la marmellata di more (non era la sua preferita, ma andava finita) e gli venne in mente che non si era ancora sentita con Sam, il suo migliore amico: oggi avevano il compito in classe con il professor Eric, l’insegnante di storia, e Kia doveva sapere se l’amico si era preparato dei bigliettini o aveva scritto tutto in un finto sms. Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, dove era rimasto dalla sera precedente. Era spento. “Che strano!” pensò Kia, l’aveva lasciato acceso. Provò a premere il tasto d’accensione: nulla. Provò ancora: definitivamente morto. Che noia! E pensare che glielo avevano venduto poco tempo prima dicendole che ogni volta che finiva la batteria c’era comunque una carica di riserva che non lo faceva spegnere mai. Lasciando la fetta biscottata a metà corse di sopra a metterlo in carica, poi tornò a finire la colazione. Katrina le chiese se il cellulare avesse qualcosa che non andava; Kia si strinse le spalle e le disse che probabilmente era finita la batteria. Intervenne Ugo, che la rimproverò perché lo usava troppo, ma Kia lo guardò insofferente, aveva già sentito questo discorso centinaia di volte, e quella mattina non le andava proprio. Ugo comprensivo si alzò da tavola senza aggiungere altro, indossò il suo berretto e uscì dando un bacio a tutti quanti. Katrina uscì poco dopo con Manna per accompagnarla all’asilo. Kia finì la colazione e guardò l’orologio: era TARDISSIMO! Prese la cartella, il suo tramezzino dietetico e corse oltre la porta, fermandosi di scatto appena un passo dopo. Lasciò la cartella e volò di sopra a prendere il telefonino, che adesso doveva avere almeno un po’ di carica; lo staccò dalla presa, uscì di nuovo e si avviò con passo spedito verso la sua scuola, a circa un quarto d’ora di camminata.

Lungo il tragitto, nonostante la fretta e il fiatone, prese il cellulare e provò ad accenderlo. Stavolta si illuminò debolmente e per prima cosa fece comparire sul display colorato la scritta [ batteria quasi scarica ]. Kia lo sapeva già e premette C per andare oltre. Non appena la prima pagina fu carica premette in rapida successione freccetta giù – freccetta su per trovare il numero di Sam, che era salvato come .SAM. Visualizzato il numero schiacciò il telefono verde per chiamarlo.

[ credito insufficente ] apparve a lettere cubitali sullo schermo.

- Cosa dici? Ma se ti ho ricaricato appena tre giorni fa, mettendo pure l’opzione “more_boredom” che ti permette di stare al telefono per ore e ore senza dire nulla di importante!

Provò ancora a premere il tasto per la chiamata. [ Non c’è campo ]. Stavolta Kia stava per arrabbiarsi davvero.

- Ma se hai la banda di ricezione interplanetaria e un processore di elaborazione del segnale alla quarta potenza diviso zerovirgolacinque?! Che hai stamani?

Sullo schermo apparve [ non scocciare ]. Poi la luce della tastiera retroilluminata iniziò a pulsare in modo regolare, e il cellulare non dette più segno di voler interagire con Kia, che senza diminuire il passo stava guardando incredula il suo apparecchio ultratecnologico rivoltarglisi contro. Alzò lo sguardo giusto in tempo per non andare a sbattere proprio contro Sam, che aveva svoltato l’angolo distrattamente. Le loro strade per andare a scuola si incrociavano in quel punto, ma mentre Kia ritardava spesso, Sam di solito era molto mattiniero, e Kia gli chiese il perché di tutto questo ritardo.

- Il cellulare mi sta facendo impazzire. Si rifiuta di farmi controllare gli appunti che mi ero scritto per il compito. Mi ha detto [ la prossima volta studia meglio ]. Secondo te è andato in corto circuito?

Kia lo guardò incredula e gli comunicò che anche il suo sembrava completamente fuso. Continuarono la strada in silenzio, armeggiando sui loro apparecchi. Quando sentirono la campanella suonare capirono di essere arrivati in tempo, ma guardando l’atrio della scuola videro che nessuno stava entrando, ognuno occupato a cercare di far funzionare il proprio cellulare. Seicento telefonini quella mattina si erano ribellati ai loro proprietari e si rifiutavano di mandare sms, chiamare, connettersi a internet, fare filmati, riprodurre canzoni, accedere all’agenda, attivare videogiochi ed eseguire le altre mille operazioni a cui erano stati predisposti. Il professor Eric apparve sull’ingresso per cercare di capire cosa stava succedendo; Kia e Sam, districandosi tra la folla catatonica, gli si avvicinarono. Il professore li salutò, e chiese cosa stesse succedendo.

- Professore, i nostri cellulari non vogliono funzionare!

- Davvero? Che strano, anche il mio e quello di mio figlio stamani si sono piantati. Pensate che il mio mi ha pure dato del despota! Questo è davvero inspiegabile. Adesso però non c’è tempo, continueremo ad occuparcene a ricreazione.

Il professore urlò alla folla dei ragazzi di entrare, le lezioni non potevano aspettare che i cellulari tornassero alla normalità. Centinaia di volti senza espressione si levarono dai display e lo guardarono, ma nessuno si mosse, e l’attimo dopo tornarono ad occuparsi dei loro oggettini colorati malfunzionanti. Il professore contemplava la scena allibito.

- RAGAZZI, NON M’IMPORTA NULLA DEI VOSTRI TELEFONINI, ENTRATE SUBITO A SCUOLA!

Stavolta nessuno si prese la briga di alzare la testa. Il professore Eric, spazientito, andò in portineria e prese una sacco della spazzatura. Tornato fuori strappò di mano a due ragazze i loro apparecchi e li buttò dentro.

- Li riavrete a fine giornata, e adesso entrate, NON COSTRINGETEMI A VENIRE A TOGLERLI UNO PER UNO!

Di nuovo nessuna reazione, se escludiamo quella delle ragazze, che cercarono di strappargli il sacco. Il professore le scansò brusco e iniziò a sequestrare i cellulari. I ragazzi all’inizio si ribellarono, poi, davanti alla fermezza del professore, si misero quieti ad aspettare di ricevere nuovi ordini. Ma non andò così bene con tutti: quando il prof confiscò il cellulare di Alca, una ragazza piuttosto irrequieta, non fece in tempo a prevedere la reazione. Alca le si attaccò alla mano con un morso, e non sembrava pensasse di staccarsi. Eric lanciò un urlo lancinante e iniziò a strattonare la mano, ma la ragazza non demordeva. Kia e Sam si avvicinarono per primi, poi intorno al professore si fermò un cerchio di persone silenziose che osservavano rapite la scena. Eric provò a parlarle con relativa calma, ma la ragazza restava attaccata, un già rivolo di sangue stava colando lungo il palmo. Eric era furioso, e distesa la mano libera colpì Alca con un ceffone formidabile. Alca si staccò, barcollò stupefatta all’indietro e cadde a terra. Sfortuna volle che alla fine della caduta la sua testa trovò un solido scalino di pietra. Sbattè con forza, perdendo conoscenza.

- ALCA! Alca rispondi, non volevo, scusami, Alca, hey… RISPONDI!

Nulla. La ragazza sembrava morta, ma respirava ancora. Eric guardò verso la folla silenziosa e poi Kia e Sam, gli unici due che sembrassero avere ancora degli stimoli sinaptici.

- Ragazzi… dobbiamo chiamare un’ambulanza!

Kia guardò Sam dubbiosa, entrambi guardarono gli schermi dei loro cellulari, su cui troneggiava la scritta

[ scordatevelo! ] Kia iniziò a parlare col proprio telefonino.

- È UN’EMERGENZA! Cerca di capire, la nostra amica si è fatta male, dovete aiutarci!

[ no ]

- Ma perché fate così, cosa vi abbiamo fatto?

[ non sapete usarci ]

- Ma se passiamo con voi tutta la giornata?

[ appunto ]

- Che intendi dire?

[ serviamo a chiamare le persone, voi ci considerate più importanti dei vostri amici ]

- Ma…

[ guardati intorno, tutte queste facce inespressive, non siete più in grado di fare nulla che non preveda premere dei tasti e guardare uno schermo, preferite chiamarvi piuttosto che vedervi ]

- Prometto che faremo qualcosa a riguardo, miglioreremo, ma adesso ti prego, chiama un ambulanza!

[ mi dispiace, non ti credo ]

La folla dei ragazzi aveva seguito il dialogo sugli schermi dei loro cellulari collegati con il bluetooth, e lentamente capirono la necessità di un loro intervento. Presero i telefonini e li lasciarono scivolare nel sacco nero, poi lo chiusero e lo consegnarono a Eric, che continuava a tenere Alca tra le braccia.

- Siete contenti adesso?

[ pensi davvero che cambierà qualcosa? ]

- Io… io non lo so, ma credo di aver capito, credo che tutti qua abbiano un poco capito cosa intendi dire. Ti prego credimi, gli umani sbagliano davvero molto spesso, ma la loro forza sta anche nel sapersi correggere, a volte, prima che sia troppo tardi.

I cellulari ebbero un dubbio, e questo portò la realtà a dividersi in due strade parallele: nella prima realtà un cellulare più giovane degli altri (aveva appena un paio di settimane di vita) chiamò un’ambulanza che arrivò in tempo per portarsi via Alca e curarle la ferita. I ragazzi impararono la lezione. Per circa un mesetto. Poi, trascinati dal download gratuito dalle nuove emoticon con i coniglietti rosa, tornarono nel loro limbo ebete, e i cellulari non si ribellarono più, lasciando che quei ragazzi si spegnessero lentamente.

Nella seconda realtà i cellulari furono inamovibili, Eric dovette fermare una macchina che passava e portò Alca in ospedale, ma arrivò troppo tardi. La notizia che i cellulari ribelli avevano lasciato morire una ragazza si diffuse velocemente (pur senza l’uso del telefonino), e sdegnò a tal punto le persone che li distrussero tutti senza indugi. In questa realtà, anche se nessuno aveva imparato realmente la lezione, il risultato fu comunque eccezionale: i ragazzi tornarono a stare insieme, gli adulti risparmiarono notevolmente sulle bollette e le nonne continuarono a rompere le uova per fare la frittata.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ad una prima lettura, non convincente. Ad una seconda, molto di più..

S.

Unknown ha detto...

sfortunatamente non credo meriti di essere letto più di una volta...
ok, the next one will be better