mercoledì 21 marzo 2007

3 . T H 3 N D

Sulla Terra. Di nuovo. Solo. Ho incontrato nuovamente Dio sulla via di ritorno verso la Terra, era piuttosto crucciato, stava cercando di aggiustare una delle Sue creazioni meno riuscite, il chihuahua. Tale animale era stato concepito infatti come alternativa al diluvio universale per sterminare la razza umana: la sua mostruosità doveva servire per incutere un reverenziale timore, il suo stridulo guaire per rappresentare il dolore ormai prossimo. Il problema è che doveva essere alto tredici metri e sputare fiamme; errore del servizio brevetti, dice Lui per giustificarsi. Per consolarlo gli offro un birra in un locale vicino, un posto carino, buona musica e il miglior crack della galassia. L’Eccelso Onnipresente è un po’ giù anche perché gli dovevano essere venute le sue cose già da una settimana e invece niente, quel vecchio porco di Lucifero voleva fare sempre di testa sua. Comunque dopo aver tirato su un po' di roba dalla sua stagnola è già partito per un viaggio allegro, le Divinità creano le droghe ma non le reggono, poi si spaventano, vanno in paranoia e viene fuori roba tipo Hitler o il cavolo frattale. Pago il conto più un extra perché Lo facciano rinsavire dopo qualche ora, torno sulla navicella e poi dritto verso la Terra, mentre una spora di un raro fungo carnivoro di Urano germoglia dentro uno dei clienti dello locale.

La prima cosa che faccio una volta atterrato è rotolarmi in un posacenere e baciare la mia sedia preferita [si capisce, senza malizia], poi mi guardo tutta la serie completa di Beautiful. Poi cerco di dare una scopo a questa storia. E scopro una cosa terribile: quel vago triste senso di amarezza che mi attanaglia, le giornate di grandine [di quella veloce, a chicchi taglienti] ad aspettare con gli occhi al cielo, infilare la testa nel forno, le giornate passate a mangiare bacche a caso nei boschi, le mie ispezioni rettali con ferri rugginosi: è il sintomo del collasso creativo!

Da mesi parole e pensieri hanno perso spessore, lasciano a righe vuote il compito di riempirsi da sole. È successo prima del viaggio nello spazio, forse ancora prima dell’invasione delle orripilanti creature, quando la mia infeconda forma ha visto per la prima volta la. Sono stato chiuso in casa per anni, mi rifiutavo di condividere quella bellezza che sapevo essere solo mia con il pianeta che in fondo girava comunque senza conoscermi. In quegli anni ho completato innumerevoli settimane enigmistiche e mangiato milioni di pistacchi, ma nonostante questo ero infelice. Lo capii guardando i gusci dei pistacchi: nonostante l’opera mastodontica ero incompleto. Decisi quindi di frequentare la scuola pubblica. Quando conobbi Adelaide e poi con il viaggio nello spazio e il resto credevo che questa maledetta angoscia se ne fosse andata, invece adesso, sulla Terra, di nuovo solo, una malinconica malinconia torna ad emergere. Ma non ci sono più scuole per illudermi, o navette spaziali che possano farmi fuggire da me stesso, nessun mio simile ad aspettarmi, persino Dio è altrove, svenuto in un bar. E il tetris si è rotto. Poi, ecco l’idea: l’Eroina! È il momento di dire basta alle droghe da quattro soldi comprato al supermercato. Fortunatamente mio padre mi ha lasciato un discreto conto da Barclay's, il frutto dei suoi anni di duro lavoro come minatore nelle cave di dentrificio; penso sia giusto sperperarlo in droga e pistacchi.

Vado da uno dei miei vecchi compagni di scuola, non so come si è salvato dalla mostruosa invasione, ma adesso è l’unico spacciatore rimasto in vita sul globo, e si gode la vita all’ultimo piano di un palazzo in periferia. Dalle finestre di casa sua esce qualcosa di viscoso, non ci faccio caso ed entro nel palazzo, salgo con l’ascensore rotto [arrampicandomi lungo i cavi d’acciaio] e gli suono alla porta. Dopo tre ore mi risponde una voce metallica dicendomi di entrare e aspettare per ulteriori informazioni. Entro in una stanza piuttosto piccola, a tenuta stagna. Attaccata alla parete ci sono delle mute da sub, bombole e boccagli.

- Indossa ciò che vedi alla parete e introduciti in questa sfera trasposizionale; se sei cieco ci sono delle tute in brail, se sei sordo astari du prambati, tanto non capisci! -

A quel punto esce dalla parete di fronte la metà di una sfera vuota con un portello nel mezzo. Indosso velocemente la tuta, apro il portello e mi infilo dentro, chiudo e aspetto. BIP! La sfera ruota su stessa. Apro di nuovo il portello e dal buco comicia ad entrare copiosamente un denso liquido verde-giallastro, così indosso il boccaglio e mi immergo. Sto nuotando nel vomito. Ci sono cose equivoche sospese nel denso liquame che sembravano indirizzarmi verso il centro dell’appartamento-piscina. Distinguo altre forme nuotare grazie alla visione a infravomito di cui è dotata la maschera. Una di loro si stacca dal gruppo e mi viene incontro.

- Hey, ma guarda chi si vede; è dall’invasione che non ci vediamo! Come te la passi? Mi fa piacere che sei venuto a trovarmi nella mia reggia –

Lo riconosco anche se la droga lo ha trasfigurato e il microfono ha distorto la voce, è il mio compagno. Gli dico che va tutto bene, che sono lì per affari e chiedo spiegazioni per l’ambiente circostante.

- È una scoperta di un trio di scienziati del Burkina Faso. Hanno capito che stando immersi con una muta da sub nel vomito è possibile prevenire le rughe sui gomiti. Noi qua stavamo tutto il giorno a vomitare e non sapevamo mai che farci con tutta questa roba; è stata proprio una bella fortuna questa! Ma sei qui per fare acquisti, no? Tieni, prova! –

Mi passa una siringa, io la prendo e la inserisco nell’apposito buchino nella tuta. In pochi secondi sono tossicodipendente.

Sono passati tredici mesi da quando sono entrato la prima volta nella routine della droga. Fra venti minuti avrò terminato il patrimonio paterno, ma per l’emozione dell’avvenimento sperpero tutto in tre minuti ed entro quasi subito in crisi d’astinenza. Il mio compagno è morto da un paio di mesi, l’abbiamo trovato che galleggiava immobile sul soffitto; gli abbiamo tolto la tuta, l’abbiamo pulita e appesa fuori per i nuovi ospiti. Per quello che posso ricordare lui dovrebbe ancora essere qui da qualche parte in putrefazione. Ok, torniamo alla crisi. Lo scopo dei tossici come degli zingari è quello di succhiare quanta più energia possono alle persone fuori dal loro intorno sociale per alimentarsi, ma in caso di carestia non si risparmiano di giocare brutti tiri anche ai loro migliori amici. Ma io non ho amici, nessuna delle persone che è qui può aiutarmi, soffro, necessito di una dose immediata per tenere lontani i pensieri che già si incolonnano ingorgandosi liberando e alzando il volume dell’insofferenza che mi spinge a muovere le braccia convulsamente nuotando verso nessuna direzione. Toh, l’uscita. Non ricordavo ce ne fosse una. Apro il portello e m’infilo. Si apre un buco che fa scolare via il vomito, poi getti d’acqua sotto pressione sulla muta putrida. Vengo vomitato fuori, nella sala d’aspetto, non sono stato disintossicato, solo allontanato. Mi alzo, con enorme sforzo tolgo la tuta che credevo oramai essersi fusa sulla mia pelle e MAGIA!!! Non ho le rughe sui gomiti! La cura funziona davvero. Beh, chi se ne frega in fondo? Esco e guardo le scale che scendono: non posso più tornare a far parte delle strade, posso solo salire.

Sono sul tetto e guardo in basso: ci sono delle persone, poche, alcuni giovani, altri vecchi, spiritati, morti, sorridenti, sotterranei, e un castoro; mi osserva e annuisce, poi si mette a correre lungo l’autostrada vuota. C’è una beata quiete, merito mio che ho sconfitto le forze del Male. In fondo essere uno spermatozoo infecondato nato da padre morto suicida ha un suo senso che sembra prendere forma oltre il cornicione. C’è la fresca brezza di una primavera post-catastrofica. Metto il mio unico piede sul bordo di cemento. Aspetto. Osservo. Sorrido.

Le braccia sono già cresciute. Forse è arrivato il momento delle Ali.

2 . ASTROLESCENZA

Ed infine anche per me è arrivata: l’adolescenza, quella vera, il momento agognato in cui finalmente, dopo averle sentite crescere ed agitarsi da mesi dentro di te, ti spuntano le braccia. Questi due meravigliosi accessori semiatrofizzate sono spuntati un mattino qualunque, circa un mese dopo che avevo distrutto l'esercito del Signore del Male AshtigarhoK EH Puppa nella "Battaglia del Fetore Mutante” al secondo piano della sede centrale del McDonald di Poggibonsi. In quel giorno, che oramai è solo un vacuo ricordo sulla nebbiosa tangenziale della memoria, Dio è sceso dall’Olimpo con Yog-Sothoth al guinzaglio per complimentarsi con me dell’impresa intrapresa e successevolmente terminata, e per prendere un McMohammed al vero sapore di commesso arabo mutilato in zone poco visibili. Ci siamo seduti assieme carezzati dal fresco Sole della Primavera post-apocalittica ed Egli mi ha chiesto se avessi desideri particolari da esprimergli: mettendo da parte la reverenzialità ho confessato che la forma vermoidale che Lui aveva scelto per me, nonostante l’encomiabile bellezza, aveva una serie di difetti sul piano pratico-funzionale non trascurabili. Così mi ha strizzato un occhio ed io sono diventato un ciclope fluido. Gli ho fatto notare che non erano scherzi carini, e così mi ha fatto tornare uguale a prima e ha detto che non dovevo preoccuparmi: c'è una continua mutazione in me che terminerà con il drastico ed estremamente sofferente ridursi delle funzioni motorie e respiratorie. Così L’ho ringraziato, decisamente confortato, mentre i pochi terrestri sopravvissuti si accalcavano per osservare l’ascensione a turbina invertita con motore a digestione rallentata di Dio, che intanto aveva dimenticato Yog-Sohtoth legato al cancello. Il cucciolo, attraendo i passanti con il suo ammaliante sbattere di ciglia, si è già ingoiato una decina di superstiti; fortunatamente il Robopapa li ha dogmatizzati come eretici per non contrariare l’animale del Divino.

A me non importa, ora che ho le braccia potrò finalmente rollarmi le canne e pilotare il prototipo Xb-5005 di navicella interstellare a fusione spaziotemporale di salcicce; potrò andare alla ricerca dei miei simili nell’Universo e stabilire con loro un contatto per il reciproco scambio di fluidi. Partirò stanotte, portando con me alcune scatole di saccottini alla marmellata, latte U.H.T parzialmente bevuto, maionese, burrocacao e il piede sinistro di Adelaide [custode dei miei più intimi segreti].

La luna è sorta e il tetto del garage è spalancato, pronto a rigurgitarmi verso il cielo. Tatuate nelle pareti interne dei miei glutei ci sono le coordinate stellari per cercare il Pianeta dei miei fratelli; intendiamoci, io sono un terrestre, ma il giorno della mia nascita, poco prima che mio padre scomparisse, venne scoperta un'antica ma evoluta civiltà di ominidi a cui mancava il senso dell’umorismo, situata proprio in prossimità della parte terminante del mio intestino. Questi, a causa della poca inclinazione alle risate, non furono affatto divertiti dalla mia prima flatulenza; lasciarono le loro case appestate partendo verso lo spazio aperto e lasciandomi inciso il luogo segreto in cui avrei conosciuto coloro che più mi somigliano [è impossibile sapere come facessero i microbi a conoscere tali informazioni; ad ogni modo nessuno è riuscito ancora a capire come è possibile che tre quarti di Mondo muoia di fame e il restante quarto viva obeso buttando via tanta ma davvero tanta roba ancora buona]. Fino ad ora non ero mai riuscito a premere i due pulsanti di accensione diametralmente opposti, ma adesso sono pronto: un respiro profondo, the Final Countdown, Parapara, tree, Parapappapa, tu, uan. Zero.

IGNITION. FIRE. BANG BANG. KARTOFFEN. UN CHILO DI MOZZARELLA. GO.

Il cielo. Non è così coinvolgente finché non ci sei immerso. Finché le stelle non ti toccano, ustionandoti. Finché i pinguini spaziali non ti volano accanto scomparendo tra le nebulose. Finché non senti gli Starship-Troopers cantare gli inni più in voga nella letteratura fantafascista degli anni novanta. Finché non ti accorgi di aver lasciato i saccottini sulla Terra. No! I saccottini… Fortuna che la Coca-Cola ha colonizzato la parte di Universo che ha un raggio di ventitre Siffredi [unità di misurazione per distanze astrali. Un unità corrisponde a circa tre miliardi di centimetri] intorno alla Terra. Mi fermo ad un distributore di salatini e prelevo novanta libbre di pistacchi da sgusciare; il distributore ringrazia lasciandomi in regalo il disintegratore spaziale a fotoni gay. Sono libero di ripartire alla volta delle più lontane galassie di spermatozoi monoarticolati. In realtà lo spazio, alla quarantasettesima scatola di pistacchi, risulta piuttosto ripetitivo. Certo l’emozione di trovarsi miglia e miglia lontani da casa, dover fuggire dalle piogge di meteoriti, ingaggiare battaglia con le astronavi aliene di benvenuto e farsi sanguinare i bulbi oculari oltrepassando la velocità della luce è divertente per una mezz’oretta, poi però viene a noia. Per fortuna che il computer di bordo CYBERBRAINMOKACCINO ha il tetris a colori, e con quello puoi andare avanti settimane senza sentire gli stimoli di fame, sete o morte. Le distanze siderali passano oltre l’oblò mentre il supercervellone elettronico indirizza l’astronave verso la risposta ai miei quesiti mai posti; non c’è ansia né aspettativa, solo blocchi che si sovrappongono e, intersecandosi, si annullano a vicenda lungo l’asse orizzontale. Un rombo, l'astronave trema, c'è della polvere che si alza intorno alla navicella.

- We’re arrivat, master; me prepear for Atterragg; Allacc your Cintur of Safety – sibila digitale l’entità pensante, rendendo fatale per la prosecuzione del gioco la mia perdita di attenzione.

Sono finalmente arrivato dove tutto ha un inizio, dove la mia precoitale solitaria esistenza acquista un senso, dove potrò chiarire una volta per tutte la mia somiglianza innata con un wurstel pensante. La ricerca ha inizio. Scendo dalla navicella. Il pianeta dove abitano i miei quattro simili è tipo un incrocio tra un cervello [a causa delle rughe che trapassano il suolo] e un ascella [a causa dei peli che escono dal terreno e dall’odore dell’aria]. Il cielo è giallo e arancione a strati gommosi alternati; il suolo è rosa-fluo con alcuni pois verdi; non ci sono tracce di vegetazione, ma la fauna locale è alquanto strana: trattasi di nere blatte ingigantite da chissà quale folle esperimento genetico che si portano appresso grossi blocchi di muco biancastro che fuoriesce con scioltezza dal terreno, nelle zone sottoposte a pressione. Tali infelici bestie sono dotate di quindici zampe di cui soltanto tre funzionanti, sfortunatamente tutte dalla stessa parte, per cui sono costrette a trascinarsi su un fianco; i quattro occhi strabici osservano il Mondo con strane angolazioni senza mai vedere dove verrebbero indirizzarsi; la corazza è stretta nelle giunture per bloccare il più possibile i movimenti. Ma ciò che più tormenta questi apocrifi animali è la necessaria ma dolorosa e complicata riproduzione. I Blotsrifi [questo è il nome delle creature tormentate] sono costretti a intraprendere la propria triste moltiplicazione ogni trentotto minuti esatti [pena per la mancanza l’attorcigliamento degli organi interni] utilizzando la poltiglia biancastra come gomma da masticare che, al contatto con la saliva, diventa granitica; dopo la solidificazione essi devono utilizzare il composto ottenuto come clistere nel tentativo di far uscire dalla bocca [prima che esploda] il contenuto ovulare dei loro involuti esofagi, formatosi in seguito all’ingestione dei peli spinosi e orticanti che crescono rigogliosamente sul pianeta. Per covare il nido ogni blotsrifo deve poi inghiottire il rigurgito di un suo simile e rimetterlo nuovamente dopo diciasette minuti, tempo della gestazione; al termine del procedimento i nuovi blotsrifi devono iniziare la deprimente danza dell’esistenza. Il vero problema è che nessuno li ha mai avvertiti che i blotsrifi non hanno organi interni che possano attorcigliarsi, e il loro timore per la tortura a cui sarebbero sottoposti in caso di astinenza riproduttiva è totalmente infondato. Quindi alziamo le dita e deridiamo assieme con rispetto questi stupidi animali del Pianeta Sperminfec.

A cosa è servita questa noiosa digressione? A permettermi di cercare in giro per il pianeta qualcosa che non fossero animaletti sfigati e peli. Considerando che la superficie del Pianeta è paragonabile alla dilatazione massima di un poro devo ammettere di aver effettuato una ricerca alquanto breve e inconcludente. Non avrò mai le risposte alla mia Esistenza. Poco male, ho il tetris. Mi chiedo soltanto se gli ometti anali che tanto tempo fa volarono lontano non si siano gabbati di me o siano evoluti nelle creature che mi si parano di fronte. Altre tragiche domande senza soluzione, se non quella che è la Vita stessa, con la sua inconoscibilatà, a rappresentare l’unica risposta. In segno di rispetto verso i miei precocemente scomparsi simili depongo a terra il piede di Adelaide, che avrei comunque offerto loro come ringraziamento per non avermi lasciato solo con la mia bellezza nell’Universo [e perché puzza e non voglio fare ritorno sulla Terra con quel fetore addosso]; rientro nella navicella comunque soddisfatto di poter tornare a giocare a tetris e affido al buon vecchio computer il compito di fare rotto verso la terra. La nave stellare si inabissa di mezzo metro nel terreno, che emette un grido di immenso dolore da spiaccicamento e secerne due tonnellate di muco che si riversa sui blotsrifi, uccidendoli tutti all’istante. Specifico meglio che la T di Terra era maiuscola e partiamo così di nuovo verso casa, verso altre magiche avventure.

Voce del Narratore:

“Forse il nostro spermo avrebbe dovuto smettere di pensare per un po’ al tetris e soffermarsi di più nella ricerca, aguzzando il suo innato ingegno e scaltrezza mentale soprattutto nell’udire la terra del pianeta gemere sotto di lui [evento alquanto improbabile]. Bruciacchiati dai post-bruciatori, schiacciati dal peso dell’astronave e infilzati dai peli stanno adesso tre figure immobili che fissano il cielo stupite; congelate in questa posizione morente i tre spermatozoi infecondati rimasti nell'universo guardano il loro quarto fratello andarsene. Lo avevano aspettato a lungo confidando nell'interpretazione di un catalogo dell'ikea, che aveva rivelato loro il giorno l’ora e lo specifico punto del Pianeta in cui sarebbe atterrato. Dalle mani del maggiore scivola via la pergamena, il regalo per il fratel prodigo, contenente le risposte alla Vita, nonostante la Vita sia già da sola una risposta.”

1 . PERCHÉ È STUPIDO NASCONDERSI IN UNA MACELLERIA SE IL MONDO È INVASO DAI MOSTRI


Nella stanza in cui stiamo alloggiando c'è una sola finestra con i vetri rotti con vista sulla campagna circostante; pezzi di carne variegati in putrefazione [mio cibo] giacciono sparsi a terra o appesi alle pareti; ci sono un paio di trogoli pieni di mosche in villeggiatura e alcune gabbie aperte qua e là, adatte per contenere trecentoventi telecomandi o un mostro grasso; nei muri crepati ci sono iscrizioni inneggianti alle sostanze psicotrope più comuni e incitamenti agli atti di interazione uomo-donna; nelle O di “pompino” hanno fatto la tana dei roditori alquanto irascibili, che mi hanno più volte preso in prestito, senza chiedere, considerevoli porzioni di corpo. Sono passati quindici giorni. Posso assicurarvi che mangiare carne cruda e bere l’acqua piovana raccolta nelle crepe del pavimento non è il massimo. C’è qualcosa di peggio però; anzi più di qualcosa. Due settimane senza masturbazione. Ci ho provato, sapete, nel confortevole buio, quando i rumori delle motoseghe si affievoliscono e coltelli e mannaie smettono di sfregare sulle pareti di acciaio, quando sento di stare per esplodere. Ma niente. Ho paura che a tirarlo fuori venga mozzato via dal tranciapeni del classico bastardo che aspetta proprio questo momento per venir fuori dall’ombra [e qua decidiamo consapevolmente di non approfondire tutto il trafiletto sull'espletazione delle funzioni corporali più comuni]; e poi devo mantenere un contegno: non sono solo qui: lei è un motivo in più per aver voglia di rannicchiarsi in un angolo e scambiare un paio di opinioni personali con se stessi. Era la più bella del liceo; non che ora non lo sia più, ma una volta che il pianeta viene invaso da deformi esseri semisenzienti e siete in due ad essere sopravvissuti i concetti di bellezza e liceo perdono spessore. Lei sarà comunque la più bella. Lei ha i capelli. E fin qui, direte voi, bello ma niente di speciale; e qui vi sbagliate: lei li ha neri. Avete capito: non solo ha i capelli, ma li ha neri. Eccezionale! Ma non mi fermo: un set completo di sopracciglia, un paio di occhi, naso e bocca al posto giusto, collo seni braccia torso gambe e piedi. Lei ha tutto questo, e non lo fa pesare neanche troppo. Certo, non mi parla e non mi guarda e non respira neanche vicino a me; penso che sia timida, anche se il mio compagno di classe che giocava a calcio ed era il più bello non diceva così. Peggio per lui, non la conosceva; e tanto è stato segato in tanti pezzi diversi di forma e contenuto da un ometto con gli occhiali tondi.

Era una giornata di scuola, come le altre; io, Adelaide [la mia compagna di macello] e Rudolf [il calciatore] eravamo in classe con gli altri durante la lezione di “Protofusione delle Cellule Staminali per Ottenere Combustibile Commestibile”. Si, eravamo in classe insieme, ma lei non l’ha mai saputo. Ero così innamorato [sempre di lei, non di Rudolf; lui era antipatico e mi ustionava la cute facciale con la fiamma ossidrica della bidella] che stavo per lanciarle un bigliettino con la scritta “STUPIDA” [che stava per: “Sono Tanto Ultra-Perdutamente Innamorato Di Adelaide. Non so se avrebbe capito] che questo tizio, con gli occhiali tondi, magrolino, con la faccia grigia e la camicia sporca di sangue, irrompe in classe con una motosega a catena azionata e si avventa sulla prof. dimezzandola. Lì per lì non sapevamo cosa fare, così abbiamo applaudito. Lui non deve aver capito e vomitando bile ha detto qualcosa del tipo “Morrete Felloni” gettandosi su Rudolf e praticando i dettami del “Manuale di Chirurgia Improvvisata con Attrezzi Casuali non Disinfettati”. Dopo un po’ ci siamo accorti che quella che sembrava un incisione di routine al corpo calloso del mesencefalo era in realtà un vero e proprio sbudellamento. Allora c’è stato il panico: gente che urlava correndo e lanciando sedie, mani che salutavano i polsi a cui un tempo erano attaccate, lacrime di sangue, torrenti di succhi gastrici, fontane arteriche e il suono, che alcuni non avrebbero mai sentito, delle orecchie che cadono [bel suono, peccato non aver avuto il tempo di goderselo]. Non so cosa sia scattato in me, ma mi sono lanciato su Adelaide e le ho afferrato la mano. Lei mi ha lanciato molto forte il tomo di scienze e io ho lasciato la presa, tramortito; poi le ho detto di seguirmi. Lei si è guardata un po’ in giro. Oltre all’omino della motosega si erano aggiunti un signore ustionato con uno strano guanto, un ragazzo cicciotello con la maschera da hockey e un machete, un tipo verde palmato, due ragazzi vestiti militari con dei fucili, un affare alto due metri e passa, nero con la testa oblunga e la coda puntuta e altre simili amenità. Data la situazione e comunque molto riluttante ella ha optato per la soluzione da me suggerita. Siamo corsi assieme [io in testa e lei a debita distanza, per non sfigurare con i corpi morenti dei ragazzi carini] verso la campagna, mentre alle nostre spalle il liceo veniva demolito da uno squadrone di soldatini impazziti. Non ricordo per quanto abbiamo corso, circa trentasette minuti quarantuno secondi, quando questo ridente mattatoio dipinto di nero con la scritta “Siete carne fresca, coglioni!” incisa con una mannaia insanguinata sulla porta di ingresso ci si è parato davanti. Sembrava un posto a posto, e poi c’era un orda di creature disgustose che volevano cibarsi di noi qualche chilometro indietro, non era il caso di fare i pignoli. E così siamo giunti fin qui.

Alla fine il posto non è male. Certo, la zone è pattugliata continuamente e così non possiamo né uscire né fare un fuocherello per scaldare il cibo, e neanche muoverci o alzarci, ma non importa: lei ha i suoi integratori proteici [pacco maxi-formato per i casi di invasione mostruosa], io il mio rognone e trippa conditi al fegato crudo che non sono male; finchè non muoio di gotta sono a posto. E poi avevo sempre sognato di dormire dentro a mezzo maiale! Avrei voluto dirle qualcosa in questo tempo che abbiamo passato assieme, ma non ho avuto ancora modo di pensarci, e poi spesso mi incanto a guardarla, e potrei stare immobile per ore con gli occhi fissi su di lei se non mi lanciasse le ossa spezzate che trova in giro, che mi si conficcano negli occhi e bruciano. Vorrei prendere coraggio e confessarle le mie emozioni di spermatozoo infecondato nato da padre morto suicida, ma qualcosa nel suo comportamento mi dice che non è arrivato ancora il momento giusto. Io lo so che, a parte tre giorni, le ragazze hanno dodici mesi di seguito di cose loro, le mestruazioni, che le rendono capaci di sollevare i tir con le ascelle e uccidere le tigri siberiane con un tampax [che è tipo una bomba viscida]; aspetterò che finiscano, sperando non le siano venute da poco. Le piaghe da decubito iniziano a impedire il corretto articolarsi dei movimenti, e una voce sottile ma chiaramente percepibile nella testa mi sta convincendo a confessarle il mio amore e poi trucidarla barbaramente con uno stuzzicadenti che avevo preso a mensa. Ma io le [alla voce] ho detto che i fidanzati carini non fanno così, e visto che sono passati molti giorni in cui ci siamo visti noi due da soli possiamo considerarci oramai una coppia di fatto. Ma su una cosa la voce ha ragione: inizio a puzzare. Non so se sia una conseguenza naturale del mio corpo o una premonizione sull’imminente putrefazione, fatto sta che devo scollarmi dal suolo e trascinarmi con il mio unico arto mobile verso di lei e confessarle il mio Amore eterno per il tempo che rimane. Lo faccio per la vocina dentro di me, per il mezzo maiale che mi ospita, per i vermi nel mio colon, ma soprattutto perché finalmente ho la possibilità di raccattare! Muoversi è diventato arduo: inizio con l’alluce e poi continuo con le altre due dita che rimangono, estendo il tremito di vita verso il ginocmito e poi il basso ventre ed eccomi nella stessa posizione di due settimane fa, ma adesso pronto a muovermi. Striscio lento per non farmi sentire da lei che, resa folle dall’emozione nel vedermi vicino, potrebbe fuggire via facendosi squartare ferocemente dalle ombre veloci. Sul terreno strisciano le piccole creature che abitano gli anfratti e si cibano di ciò di cui io mi cibo, in attesa di cibarsi di me. L’odore di urina sangue acciaio e ruggine mi inebria e confonde, ma proseguo senza demordere: lei dista solo una decina di metri. Ha i ginocchi piegati, le braccia incrociate con la testa appoggiata sopra; starà dormendo. Con la mia forma di uomo-verme sto finalmente per raggiungere la meta ambita e confessare ciò che i feti incompleti come me non hanno neanche mai osato pensare: anche noi spermacefali possiamo amare ed avere successo con le ragazze normali, purché il Mondo venga conquistato da esseri alquanto più brutti di noi [o da noi]. Diverrò il simbolo di emancipazione per i miei simili, quattro in tutto l’Universo. E intanto sono arrivato.

Lei giace silenziosa nei suoi pensieri sognanti. Un mese fa non avrebbe mai potuto neanche concepire la fortuna di trovarsi da sola nel buio con un aborto affetto da lievi casi di schizofrenia sbudellatoria [sono io] in un Mondo governato da creature aberranti. Certo a volte, i casi della Vita!

- Ade, sono io - le dico, scrollandole le spalle leggermente.

Non mi risponde, ma da segno di essere cosciente lasciando scendere molto leggermente, con i suoi modi di dolce fata, un braccio lungo le gambe. “Non mi ha cacciato colpendomi con il fondo metallico del suo spray al peperoncino” penso, consapevole che il tempo trascorso è servito a maturare in lei la consapevolezza dell’interesse che sicuramente prova per me. Con la dolcezza tipica del feto interrotto le parlo:

- Ade, è ormai molto che ci conosciamo, o perlomeno è tanto che io ti spio di notte mentre dormi e quando ti lavi i denti e quando mangi le mutande alle caramelle di tua madre e quando lei ti colpisce con il ferro da stiro bollente sulla schiena… e in tanti altri momenti. Voglio dirti che nonostante il mio aspetto sono anche intelligente, e che la bellezza non deve spaventarti, perché anche tu sei molto bella e penso che siamo oramai abbastanza grandi per intraprendere una relazione durature finalizzata all’appagamento dell’istintualità che tipicamente contraddistingue l’adolescenza. So che al momento può sembrarti affrettato, ma vorrei un figlio da te, adesso, visto che non sei ancora contaminata dalla scarica feromonica della pillola o dalle varie malattie trasmettibili attraverso i rapporti non protetti. Non preoccuparti, una volta usciti di qui mi cercherò un lavoro come si deve e ti manderò a prostituirti solo due o tre volte ogni settimana. Allora... che ne dici? -

Ora, se c’è una cosa che non capisco è l’emotività femminile. Finita la frase la scrollo un pochino per ottenere una risposta, e la zoccoletta cosa fa? Cade a terra morta! Con due chiodi piantati a fondo negli occhi e una smorfia sdentata della sua bocca contenente i resti semidigeriti delle sue ovaie, per giunta! Che maleducazione… Fortunatamente dall’oscurità esce barcollando una creatura tozza e tumefatta, con un unico grande occhio livido sulla schiena, che inizia a masticarle le dita con una delle sue bocche principali. Questi nuovi spazzini sono eccezionali, ti ripuliscono anche le ossa pur di non lasciare nulla in giro. Poi capisco; sulle prime non l’avevo notato, così seccato dall’accaduto: quell’essere ha un martello con dei chiodi in tasca [pensatela come la tasca del canguro, il mostro non ha vestiti].

- Tu sei la vile entità che ha ghermito la povera Adelaide, facendole assaggiare il proteico contenuto delle proprie interiora! Maledetta [presupponendo che sia femmina]!!! – le urlo contro.

In tutta risposta la spazzina, interrompendo il pasto, si volta e mi osserva; poi rantola, si scuote e rigetta. Nonostante la maleducazione nell’interromperla durante il pranzo, la reazione di vomitarmi addosso un collame verdognolo mi sembra eccessiva. Per fortuna che porto sempre con me un kit di pronto soccorso della categoria “anti-collante verde e altre cose schifose rigurgitate dalle creature delle tenebre”. Mi libero velocemente, ma non abbastanza da impedire al mostro di essermi addosso con un triplo salto carpato [perché assomiglia a una carpa] con avvitatore acceso [trattasi di classico strumento punteroluto atto ad avvitare ma utilizzato più comunemente per rimuovere in modo disordinato le cervella]. Schivo sinuoso grazie al mio arto mobile i colpi barbari dell’assalitrice, che inciampa sulla prolunga [per fortuna non esistono le batterie per gli avvitatori mostruosi] e cade rovinosamente, posizionando la “faccia” sul mefitico attrezzo di morte che, per l’appunto, la uccide. Lieto dell’accaduto ma non completamente sollevato mi dirigo a passo sostenuto verso l’uscita; dietro di me qualcosa di sanguinante si rialza per tenere fede alla migliore tradizione horror. Nonostante le aspettative del pubblico pagante è Adelaide ad essersi alzata e ad inseguirmi facendo roteare una balestra che giaceva inutilizzata vicino a lei [altra fortuna il fatto che gli zombi non sappiano usare le armi, contrariamente a quello che pensa Romero in “Land of the Deads”].

- Ade, sei viva! Abbracciami! – e nel dire ciò le sparo una raffica di pallettoni di piombo sacro esplosivo perforante in pieno petto con il fucile semiautomatico adattabile a spermacefali monoartici fornito nel kit di benvenuto per defunti inquieti [“in caso di presunta sopravvivenza si consiglia di ripetere il trattamento per altre tre/quattro volte, aumentando costantemente il dosaggio, fino ad aver raggiunto la piena consapevolezza della rinnovata morte del soggetto. Per ulteriori informazioni consultare lo sciamano di turno più vicino”].

Non si rialzerà più.

Io invece vivrò, ho deciso. Mi farò largo nell’Abisso Oscuro con i miei kit pronto-intervento e il mio unico arto mobile, distribuendo alle Creature del Male sofferenza e ritenzione idrica, facendo sì che ci sia un negro o una bionda tettuta sacrificabile al mio posto tutte le volte che sarà necessario. E poi birra, parolacce ed esplosioni per tutti. AMEN!

venerdì 9 marzo 2007

le ALTERNATIVE NON Devono COINCIDERE

C’è un Alternativa. Sto baciando un ragazzo dall’altra parte della sala caotica. Troppo caotica o troppa lingua non saprei decifrare da così lontano, immersa nell’ossessivo battere quattro quartico di una musica che decima decibelizzando l’udito.

Distrarmi sembra che possa non funzionare; vago con gli occhi nella distanza che mi separa dall’ammasso di carne pulsante più prossimo alla mia discrezione: 17 centimetri, una distanza del cazzo. Provo a dimenticare [visto che non so annullarmi come gli altri] ma le mucose sono un turbinio di fluidi in ricambio continuo, il calore di balli mai accennati da un io che pretende di essere l’originale si condensa in gocce di sudore lungo la schiena, bagnano il reggiseno e continuano a scendere fin dove la schiena si separa e diventa interessante. Per gli altri, a quanto sento.

Indosso una felpa molto pudica e infantile, un misto tra Heidi & Madre Teresa, non so se mi spiego: rosa morte con stelle rosa morte saturo, con cappuccio [per avvicinarmi all’ambiente rave ho dovuto sbilanciarmi]; jeans di cotone che non provengono dallo sfruttamento di uomini animali o piante, ma dal loro naturale disgregarsi e cedere pezzi alla causa; scarpe lavorate a mano da monaco tibetano esperto in Calzerologia [Arte Divinatoria per la predizione del futuro attraverso l’odore dei piedi].

Al contrario io ho addosso un paio di straccetti minimali provenienti da scarti della lavorazione dei cuiouti maiali industriali finiti nel petrolio per cause accidentali: reggiseno-capezzolant, tanga-intruder, tacco-dominator.

Nell’Alternativa le stellette sono calate al sorgere della Notte e delle sue devianze, abbracciate gioiosamente della compensazione del mio Spirito, che stanotte prende forma terrestre e mi deride, svezzata alla Corte del Desiderio per essere ceduta nelle mani dei protagonisti alienati che animano di massificazione la sala sudata.

Non la odio, senza di lei mancherebbe qualcosa di mio al Mondo, ma questo sapore amaro che viene inghiottito prima di prendere forma deforma la mia visione dello spazio circostante e mi fa scappare verso il bagno. Non ho niente contro chi si droga, ma non capisco perché debba essere io a farlo.

Le pareti pulsano neon blu sull’aumentare della mia capacità percettiva. Odore di urina aromatizzata VodkaLemon. C’è un ragazzo nero molto poco convinto di esserlo, sui 100 chili. Mi guarda passare dubbioso sul mio stato di salute; io gli sorrido conatica e sfreccio verso la prima porta chiusa occupato scusami forse meglio la seconda qua può andare sciogliti stomaco. BlUrGgh!

Non so se trasferendoci le sensazioni il ragazzo che mi starà baciando abbia il sentore di un retrogusto gastrico; poco male non è un problema mio, penso.

Mi do una ripulita e penso che c ‘è un motivo valido per cui il nostro organismo sta per 9 mesi in abluzione. Pulisco la faccia, i peccati non commessi e torno in superficie. Mi vedo. Vorrei aver avuto qualcos’altro da vomitare.

Mi passo accanto perfida dominatrice e penso che forse potrei riuscire anch’io a piegare le forme di vita senzienti se volessi, con astuta innocenza. Ma ora come ora la mia attenzione è su di me che sdegno il guardarmi e con passo ondeggiantemente sicuro sono sul ragazzo nero che sembra riacquistare le sua consapevolezza. Non ho voglia di godermi il resto, qualcuno che godrà al posto mio ci sarà di sicuro. Il sapore di sperma è una sottile vendetta al conato, penso, dopo pochi minuti.

Risalgo e siamo di nuovo sullo stesso piano, in attesa di una mossa che porti alla risoluzione di questo duplice evanescente inconveniente. Mi sono conosciuta solo stasera, e penso che per me valga lo stesso, nonostante sembri molto meno intimorita da questa Alternativa.

Al principio sono sempre sguardi incuriositi, di chi nota una certa somiglianza con le proprie caratteristiche somatiche intraviste vagamente su specchi distorti. Ma poi i particolari iniziano a coincidere: un neo troppo al suo posto, quella cicatrice sinistra su una mano, quell’impercettibile strabismo di Venere introflesso che sbandieravo audace e unica fino a qualche ora fa, quel sorriso sbarazzino che non ti farà mai capire oltre a ciò che già si era inteso. E sono questi particolari insignificanti a renderci una. Che ci rendevano una. Prima. Prima di sentirmi scissa e impotente di fronte a tutte le ombre che ho fuggito in questi anni e che ora trovano densa forma di fronte a me e sbeffeggiano quel buonismo da cittadina evoluta così bello da ostentare. Sarei potuta crescere diversamente, più equilibrata nel mio camminare sopra un filo, accettando le zone d’ombra su cui veniva fatta luce, Ma ho optato per chiudere gli occhi e far tornare indietro l’ombra, nel suo abisso da dimenticare. Adesso l’abisso mi guarda ed esige una risposta. L’avrò.

Palpeggio stranieri fuori luogo che aspettano mani sapienti consenzienti, non dedico attenzione al patetico ballo ormonale che mi circonda e mi getto nel mare di noia evaporante per raggiungermi e scontrarmi nel centro.

Il tragitto sono 3 pulsazioni in cui il sangue percorre una bella porzione del mio essere, quello fatto di carne e terminazioni nervose in piena attività. Quasi mi tocco nella foga dell’incontro. Nell’essere così vicina i 17 centimetri di sicurezza sono diminuiti vertiginosamente e sembra di stare sull’orlo friabile della mia coscienza. Sguardi invadenti ed indagatori colgono particolari latenti che mi erano sfuggiti, riconfermando inutilmente una sicurezza. Sorrido ricambiando il sorriso, nonostante il mio possa suonare molto più di circostanza. Conta il gesto, contano la vicinanza e il mio odore di prostituta per piacere; hanno senso i sensi tesi a sentire la compenetrazione delle percezioni. Vorrei poter scappare dal magnetismo che mi contraddistingue, ma non ho mai avuto possibilità di sopire il narcisismo latente. Non sento più sapori, a dire il vero ci sono innumerevoli universi vuoti turbinanti intorno a me che annullano quello che un tempo erano i miei apparati di mediazione con il pianeta. Labbra. Non c’è più un Alternativa. Lingua. Non ora che ci siamo baciate. Metempsicosi.

Il resto è storia. Una storia. Scritta nelle pagine di un quotidiano uscito nel mattino che avrebbe dovuto sostituire la notte nei miei occhi assonnati, se non fossi morta. “Overdose” è un nome di inchiostro su carta riciclata. La verità è che sono tornata ad essere una.

08 Gennaio 2007

martedì 6 marzo 2007

Love & a TRAGEDY

Cavoli che serata eccezionale! Adoro passare il Venerdì sera a mangiare salatini bevendo birra con la mia migliore amica distrutta perché il suo ultimo “nuovo” ragazzo l’ha abbandonata. Non che io non mi sia mai sfogato con qualcuno per una storia finita storta, ma ora come ora non me la sento di parlare del suo ultimo rapporto andato a male; e poi qua fuori fanno un paio di gradi sotto lo zero, ma io ho messo la camicia di lino sopra ai peli e poi la giacca, tanto dovevo solo scendere le scale, fare dieci metri ed entrare nel pub, sedermi e con gaudio aspettare una consistente mezz’ora pensando che la vita del puntuale viene costantemente punzecchiata dal poco rispetto di un mondo ritardato. Non mi sarei lamentato: devo cercare di partorire qualche storia nuova con una parvenza di originalità, e attendere immerso nel clima finto-medievale della birreria poteva essere un ottimo spunto. Invece NO! Sono sulla porta d’ingresso e:

“Hey, sto arrivando! Puoi aspettarmi fuori che non mi ricordo se il posto è quello giusto… paghi te oggi, vero? Grazie sei un tesoro”

Christine, una creatura vorace quanto affascinante che vive nelle mutande di tanta gente che conosco e di tanta altra che mi è ignota. Una bellezza NeoHippie mora bel seno condita da una punta di Intelligenza; senza esagerare, quel tanto che basta per farla ridere alle mie battute al momento giusto. Ci conosciamo da così tanto tempo, e nonostante la prenda in giro le voglio bene. Sfortunatamente conoscerla comprende anche sapere che “sto arrivando” corrisponde a “ma dove sono le chiavi, le avrà mangiate il mio [schifoso] cagnolino puffettoso GinLennon [nome ispirato dall’Amore verso i Beatles & l’Alcool]” e l’attesa diventa straziante ma inevitabile; l’ultima volta che non mi sono fatto trovare l’ho cercata per ore ritrovandola in lacrime dalla parte opposta della città a dondolarsi in modo catatonico nelle braccia di uno sconosciuto che le palpava il sedere. Conseguenze: Menata per settimane + Storia conclusa male con il tipo, con ulteriore menata. Non importa se il locale è a un passo da casa mia e ci siamo già stati un centinaio di volte, me la sta solo facendo pagare.

Ho i capezzoli semicongelati quando la sua cavolo di Citroen fiammante - ultimo - modello - pluriaccessoriato - perchè - essere - alternativi - è - giusto - ma - con - stile spunta dalla curva in quarta e nell’accelerare sembra si stia per spegnere quando il navigatore cambia mestiere e le consiglia di scalare marcia e lei ascolta e mette la prima e la Citroen geme con tutti gli accessori [compreso il navigatore]. Christine ha 23 anni e ha preso la patente da un paio di mesi. Il suo insegnante invece ha preso un extra fuori dalla busta-paga. Buon Natale!

Mi vede, sorride, agita la mano e suona il clacson facendo sbandare la macchina e girare tutti i passanti prima verso di lei e poi verso di me; con enorme compassione riprendono a camminare mentre lei si improvvisa parcheggiatrice. Le darei una mano, ma ferirei il suo orgoglio, e finchè non ho la macchina in giro non c’è il rischio di trovarmi lo sportello grattugiato e lo specchietto retrovisore appeso per il riflesso. Aspetto, e sul limite dell’ipotermia mi si presenta davanti con la sua giacca impellicciata multistrato, perché Animal-Respect ma il Sintetico poi si vede e che figura ci fa?, dicendo:

- Mah, che freddino qua fuori! Ah, ma tanto voi uomini non lo sentite mica. Dai, entriamo! - dico “ciao Christine che bello vederti prego entra veloce”.

Il locale non è solo un posto che piace a entrambi, ma l’unico fattore di gusto che abbiamo in comune. Lei ve l’ho già descritta e in generale siete svegli, avete inquadrato il tipo. Io ho i miei jeans largheggianti un po’ sdruciti in fondo, il mio orecchino da bancarella, l’unica camicia che possiedo, occhiali, anfibi scoloriti. Un incrocio tra un Nerd e Brad Pitt, tendente più al primo con niente del secondo. Ci siamo conosciuti nel momento della vita in cui l’estetica non è ancora importante: l’asilo. Da allora siamo cresciuti assieme, frequentando le stesse scuole ma non le stesse persone: io con gli sfigati, lei con le [s]fighette. Abbiamo condiviso momenti belli e brutti, e un Amore.

- Allora Ringo, come te la passi? – [che schifo di soprannome per uno che i Beatles li vuole vedere morti].

- Me la cavo Cri, sopravvivo al Mondo opprimente che nel suo vorticoso roteare vuole tarpare le ali della mia creatività – e mi chiedo che cosa parlo a fare così che poi non capisce.

- Che carino, mi piaci quando dici cose senza senso – C.V.D.

Ci sediamo al tavolo nell’angolo in fondo a sinistra, sotto lo stemma di Federico Barbarossa accanto allo scudo di Attila. Abbiamo preso questo posto un paio di anni fa e non l’abbiamo più abbandonato. In particolare ci sono legato perché reca incise tutte le frustrazioni delle serate passate a parlare del fuggevole Sentimento che sembra pervadere la mia amica con estrema frequenza per poi lasciarla stremata e bisognosa delle cure amorevoli di qualcuno che non abbia niente da chiedere al Mondo. Sembra strano, a me innanzitutto, ritrovarsi nell’impossibilità di far concepire agli altri che la mia funzione dovrebbe trascendere la riconferma delle altrui affermazioni, essendo in grado di formulare giudizi corretti nella forma e logici nel conten…

- Ringo?!? Ti eri perso nei tuoi pensieri? Non distrarti: stasera ti devo proprio parlare del brutto periodo che sto passando… cavoli, a volte sei proprio egoista. Ma non importa, ti perdono, perché tu mi ascolti e mi capisci. Cavoli, non conosco nessuno tranne te che mia dia ragione così spesso – e forse un motivo ci sarà, ma perché spiegarselo quando si può vivere sospese tra una storia marcia e un confidente sottomesso.

- Scusami Cri; stavo pensando a quel bastardo che ti ha lasciato. Come si fa a essere così spregevoli, pensavo, con una ragazza come te? – ruffiano ipocrita.

- Oh, come sei carino! Ma non devi trattarlo così male, in fondo avrà avuto le sue ragioni. Certo che poteva essere più rispettoso di me, del mio corpo. Che ne dici? –

- Certo, beh, non saprei… penso che… ah, la cameriera! – salvato in extremis dalla splendida nuova ragazza da tavolo del “Tiger’s Inn”. Odio quando Christine fa riferimenti più o meno espliciti alla sua atrofizzata sessualità: quando eravamo ancora a scuola i nostri compagni di classe si lamentavano della sua totale incapacità pratica nei confronti delle variegate fantasie erotiche che costellavano il loro immaginario adolescenziale; spesso mi chiedevano se, visto che noi eravamo così amici, non potevo finire io i suoi lavori incompiuti. Arrossivo, poi in quarta superiore frequentai un corso di boxe per corrispondenza e imparai a rispondere.

- Ciao ragazzi! Che cosa vi porto? – Sorride e io divento un po’ più scemo.

- Noi non stiamo insieme… - Dico con un sorriso bradipo riferendomi alla mia insipida compagna di tavolo, completamente trasportato da sogni a visualizzazione immediata.

- ?! Beh, non so… dovrebbe farmi piacere o me ne rattristo? – risponde montonica alzando un sopracciglio e io inizio a ridiscendere verso la Terra, il “Tiger’s”, la sedia nel tavolo all’angolo, la mia amichetta Christine.

- RINGO!?! – appunto.

- Perdonalo, non si esprime ancora bene nella nostra lingua – ocheggiano divertite condividendo un lato decisamente irritante della femminilità: il collegamento mestruo-cerebrale.

- Prendiamo due medie rosse doppio-smalto – E vai! Un'altra figura da compagnia di cerebrolesi in gita!

La cameriera se ne và via ancheggiando senza sculettare, utilizzando in maniera delicata e decisamente proficua la parte di corpo circoscritta al suo sedere.

Le bottiglie di liquori riflettono la realtà e le basse luci della sala, creando un illuminazione pseudo-stroboscopica se si osserva intensamente e con continuità il ripiano in cui riposano polverose. Osservo i passi di lei scomparire dietro al bancone e torno con malinconia al volto semi-adirato della mia compagna di tavolo.

- Noi non stiamo insieme… ma mi spieghi che cavolo stavi pensando ci avesse chiesto? E poi a lei cosa gliene fregherà di noi? Per lei sei un cliente pagante che non lascia mance, ma sono io che ho bisogno di attenzioni stasera; è così difficile dedicarmi un po’ del tuo “preziosissimo” tempo? Certo che sei cOsì InsENsiSniGH! - e adesso piange. Che palle!

Questa tipica reazione femminile rischia a lungo termine di compromettere decisamente i miei già provati sentimenti verso il gentil sesso. Capisco che l’espressione dell’emotività interiore sia una tecnica fondamentale per poter rendere partecipe tutti i presenti nelle vicinanze del travolgente flusso che sconquassa il gracile corpo della donzella, però non è possibile che per la seconda volta in una serata, anzi in 10 minuti, sia diventato l’impotente soggetto accompagnatore di una egocentrica narcisista con accentuate crisi di manifestazione tragedica. E adesso oltretutto c’è la parte più umiliante: consolarla!

- Christine?!? Cri? Io ti ascolto, però ogni tanto ho le mie necessità ormonali da appagare. Non devi prendertela a male; ti voglio bene e ti ascolterò. E poi comunque so che mi dirai che questo ultimo insensibile maschilista, che conosco benissimo, ti ha traviata con il suo charme intellettuale e tu ti sei arresa alla sua volontà, cosa che l’ha portato ad approfittarsi del tuo povero corpo, traviando la tua mente con sibilanti iniziative erotiche di bassa lega. Il gretto maschio, una volta appagate le sue necessità di primitivo, ti ha poi scaricata utilizzando motivazioni di scarso rilievo intellettuale, giustificando il suo distacco come la necessità di non minare un rapporto già consolidato in passato che poteva continuare a progredire come Amicizia. Tu ti sei sentita come trapassata dall’incapacità di rispondere o semplicemente relazionarti con un tale bruto, il che ti ha portato a rivolgerti all’unica persona che conosci in grado di stare ad ascoltare il tuo prolisso sproloquiare - devo essermi fatto prendere un po’ la mano dal discorso; a volte succede di non riuscire a controllare il Flusso di Coscienza!

- AahHh, CaTTiVO! Lo sapEVo cHe nON saRebBE SerRViTo A NIEnTe! – [singhiozzando]

- Vedi, maledetta oca, il fatto è che sfortunatamente il bruto maschilista e l’amico del cuore stavolta coincidono, e venuto a mancare uno dei due non puoi pensare che l’altro riacquisti integralmente la sua forma di sottomessa ameba assorbente – [pubblico, compresa la cameriera, in estatica ammirazione della degenerazione situazionale]

- MA iO penSAvo chE Tu vOleSsi daVverO tornARe Mio AmiCo! SperAvo di potER cancELlare unA Parte di tE cOsì orRibile; e tI aVrei pERdonato! – [smettendo parzialmente di singhiozzare]

- NO! NO! NO PERCHÈ ERANO 15 ANNI CHE TI VOLEVO SCOPARE, E ORA CHE CI SONO RIUSCITO E NON MI È NEANCHE PIACIUTO NON HA VERAMENTE PIÙ SENSO STARTI AD ASCOLTARE, VACCA!!! -

E detto questo estraggo la 9mm e le perforo ripetutamente il cranio e altre variegate zone del corpo. La superfluità del suo cervello si manifesta nella sua completezza nel fuoriuscire in maniera disordinata dalla tumefatta scatola cranica. I proiettili le si conficcano negli occhi, le trapassano la trachea, scheggiano i denti di una bocca sorpresa e uno le fa esplodere il capezzolo sinistro. Il corpo colante cade a terra, riempiendo di globuli rossi gli spazi incavati tra le pietre del pavimento; avrei voluto sporcare di meno per non far affaticare la cameriera, che al momento sta urlando terrorizzata graffiandosi le guance.

Io non capisco che cosa hanno tutti: mi sembrava si fossero accorti dell’inutilità sociale della mia amica, e invece nelle loro lacrime sembra quasi di scorgere compassione, se si osserva bene oltre la disperazione.

- Calmini, eh! Non è che ho privato il Mondo di qualcosa di importante. Cavoli, è stressante a volte doversi relazionare con dei vuoti contenitori di liquido seminale; cercate di capire che se non ero io oggi sarebbe stato qualcuno di voi domani. Ho fatto sudicio, comunque se volete la porto fuori e lascio pure la mancia. E smettetela di frignare “Non ucciderci, non ucciderci”! Ma chi vi ha mai visto? Ma pensate davvero di essere così importanti da farmi cambiare il caricatore e sprecare costosissimi proiettili contro persone comuni? Voi siete carne da macello per lo Stato, anche se credete di essere speciali e che qualcuno “malato” come me possa farvi fuori ingelosito. La verità è che il vostro vivere comune non infastidisce nessuno; la vostra immagine striscia sulla retina degli altri senza lasciare traccia dopo il vostro passaggio, siete condannati a essere dimenticati alimentando il Pianeta Umano che sfrutta il vostro passeggero sostare in questa grottesca forma. Un giorno semplicemente eviterete di svegliarvi, ma non sarò io a mutare il vostro sonno; quando sarete solo un peso improduttivo verrete gettati via, ci saranno i vostri figli a rimpiazzarvi nella catena alimentare. Godetevi quello che rimane della vostra Illusione senza intralciare il mio cammino e vivremo beatamente nella reciproca agognata distanza che ci separa. E adesso signori, Addio! –

Lascio una decina di uro più spiccioli sul tavolo e mi chino, afferrando il corpo di Christine per le ascelle, trascinandola in strada fino al cassonetto dell’immondizia. La getto dentro senza troppi rituali [e qui gli anni di boxe aiutano]. Nel pub vige ancora un rispettoso timoroso silenzio mentre mi allontano per tornarmene a casa.

- Che schifo! Ho un pezzo di qualcosa di viscido untuoso sui pantaloni… Ah, che serataccia! –

Morale: ASSENTE.

C’è la voglia di raccontare la distorta visione del Mondo che prende forma nelle sinapsi di un personaggio alterato dall’incapacità di relazionarsi. A volte si scappa e altre volte si reagisce male. Il nostro Ringo, capace di reagire alle avversità, ha terminato il suo corso di laurea in “Anatomia Umana Spappolata” e ad oggi vive con sua moglie, una fotografa, progettando entro breve l’arrivo di un marmocchio. Non si registrano altri casi di efferata violenza contro quelle che sono effettivamente le vittime di una Società che abbiamo contribuito a creare scambiando il Libero Arbitrio con la Playstation.


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23 Gennaio 2007